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Mason

Uno degli uomini più potenti d’Inghilterra, Mason Campbell era freddo, duro e senza scrupoli. Il vento sussurrava il suo nome e faceva tremare di paura chiunque. Era noto per essere spietato e crudele, uno che non perdonava. Lauren Hart aveva appena iniziato a lavorare per lui come sua assistente e si era trovata ad avere a che fare con i suoi capricci, la sua rabbia, il suo odio e la sua arroganza. La vita sarebbe stata di certo migliore se non avesse lavorato per Mason Campbell, l’uomo che gli altri uomini invidiavano e che era desiderato dalle donne. Ma Mason non aveva occhi che per lei, specialmente dopo un accordo che lei non aveva potuto rifiutare.

Età: 18+ (Abuso)

 

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1

Trama

Uno degli uomini più potenti d'Inghilterra, Mason Campbell era freddo, duro e senza scrupoli. Il vento sussurrava il suo nome e faceva tremare di paura chiunque. Era noto per essere spietato e crudele, uno che non perdonava. Lauren Hart aveva appena iniziato a lavorare per lui come sua assistente e si era trovata ad avere a che fare con i suoi capricci, la sua rabbia, il suo odio e la sua arroganza. La vita sarebbe stata di certo migliore se non avesse lavorato per Mason Campbell, l'uomo che gli altri uomini invidiavano e che era desiderato dalle donne. Ma Mason non aveva occhi che per lei, specialmente dopo un accordo che lei non aveva potuto rifiutare.

Età: 18+ (Abuso, Abuso sessuale)

Autore originale: Forevertoofar

“Calmati”, disse la mia compagna di stanza Beth mentre mi guardava camminare avanti e indietro nel nostro soggiorno.

Stavo camminando già da trenta minuti, nervosa e ansiosa.

“Andrai alla grande a quel colloquio”, aggiunse con un sorriso incoraggiante.

Le risparmiai un'occhiataccia. “Non è un colloquio normale!”

Mi passai una mano tra i capelli per la frustrazione.

“Sarai intervistata da Dio?”

La guardai come se fosse pazza.

Beh, chiaramente lo era solo per il fatto che aveva chiesto una cosa del genere.

Non poteva sapere come mi stessi sentendo riguardo a quel colloquio.

Tutto dipendeva da quello.

“No, ma sarò intervistata dall'uomo più potente”, le ricordai.

Mason Campbell era uno degli uomini più potenti del mondo. Era addirittura il più potente d'Inghilterra.

A nessuno piaceva ammetterlo, ma aveva persino più potere della Regina.

Nonostante fosse molto giovane, aveva guadagnato più soldi di chiunque altro.

Aveva messo in piedi diverse società in tutto il mondo nella quale lavoravano all'incirca mille persone.

Era temuto in tutto il paese perché era freddo e terrificante.

Mason Campbell era l'uomo che rideva di fronte alla morte.

Viveva secondo le sue regole.

Avevo sentito di uomini che si erano intimoriti di fronte al suo sguardo intenso ed erano uomini di grande potere.

Dicevano persino che poteva far sparire chiunque senza lasciarne la benché minima traccia.

Questo pensiero mi terrorizzava abbastanza.

“Perché non hai scelto un altro posto dove lavorare?” Chiese Beth.

“Le voci dicono che quello che succede dietro le porte di quegli uffici è terrificante”.

“Ho anche sentito dire che il suo sguardo freddo potrebbe riuscire a spaccare una pietra e che la terra trema di fronte alla sua rabbia”.

“Non mi dispiacerebbe assistervi”, risposi, cercando di alleggerire la situazione in cui mi ero cacciata.

“Quella vista ti rovinerebbe di sicuro”. Disse con fermezza.

Sollevai il mento.

“Però sarebbe intrigante”.

“Sì”, annuì, poi sorrise divertita.

“Ma vedrai che ti sentirai diversamente se i suoi occhi ti arrostiranno”.

Volevo ridere per quella battuta, ma ero troppo nervosa per il giorno successivo.

Non avevo idea di dove Beth avesse sentito quelle voci, anche se dovevo ammettere che i suoi occhi erano davvero terrificanti, ma non pensavo che potessero arrostire qualcuno.

Le persone sanno essere così drammatiche a volte.

“Psh”, respinsi la possibilità.

“È solo un pettegolezzo, Beth”.

Lei mi guardò attentamente. “Le voci a volte sono vere”.

Lottai contro l'impulso di divincolarmi dal suo sguardo.

“Ho sentito che tratta tutti come fossero suoi nemici… persino i suoi dipendenti”.

Quello mi fece saltare i nervi.

Trattare i suoi dipendenti come nemici? Come avrebbe potuto funzionare?

Non riuscivo a capire se fosse sincera o meno.

Le lanciai un'occhiata con gli occhi stretti.

“È pazzo, lo so”.

“Una ragione in più per cui dovresti considerare di lavorare da qualche altra parte”. Strinse le mie mani nelle sue, poi le lasciò per incrociare le sue braccia al suo petto.

“Quante certezze hai sul fatto che otterrò il lavoro?”

Erano tante le persone che volevano lavorare alla Campbell Industry e sarebbero state tutte intervistate.

Solo una di noi avrebbe ottenuto il lavoro e dubitavo seriamente che sarei stata io.

Alcune ragazze volevano solo lui, non il lavoro.

“Sicura allo 0%”. Beth rise, guadagnandosi un'occhiataccia da parte mia.

“Non ci vedo niente di buono a lavorare lì. Quel posto è terrificante. È colmo di nient'altro che controllo e oscurità”.

“Mason Campbell lo rende freddo e proibito”.

“Nessun posto è proibito e poco accogliente”, dissi, avvicinando il cuscino al mio petto.

“Ma dicono che il posto sia pieno dell'eco di ruggiti”.

“Sai”, Beth mi guardò di nuovo, con i suoi occhi verde smeraldo e quel suo sguardo penetrante.

“Mi piacerebbe essere lì domani solo per vederti tremare dalla paura in sua presenza”, concluse ridendo.

“Chiudi il becco”. Sorrisi, lanciandole il cuscino.

“Non mi piegherò. Non ho paura”.

Lei alzò un sopracciglio in segno di sfida. “Oh davvero? Non sei mai stata in sua presenza prima. Non sai come ci si sente”.

Nervosi e un sacco a disagio, pensai, mordendomi il labbro.

“Se torno a casa piangendo, non dovresti nemmeno esserne sorpresa”.

“Terrò il fazzoletto pronto”.

“Ti piacerebbe, stronza”. La guardai in modo scherzoso.

Il suo sorriso scomparve e mi guardò seriamente.

“Andrai bene al colloquio, Lauren. Il tuo curriculum è fantastico. Sono sicura che sarai scelta tra le centinaia di persone”.

Accennai a un debole sorriso. “Lo spero”.

Lo speravo davvero, perché era l'unico lavoro che pagava bene. Sarei stata in grado di far fronte alle spese mediche di mio padre e alle sue cure.

Avrei potuto fare molto di più con quei soldi.

Ma le cure di papà erano l'unica cosa che mi preoccupava.

Aveva un cancro al quarto stadio e fu un duro colpo quando me lo aveva detto la prima volta.

Era l'unica persona che mi era rimasta dopo che mia madre ci aveva lasciati quando avevo dieci anni.

Fa ancora male a pensarci.

Papà ne aveva passate così tante nel crescermi ed era arrivato il mio turno di prendermi cura di lui.

Il mattino arrivò prima di quanto mi aspettassi. Mi alzai alle sei per prepararmi.

Il colloquio era alle sette e mezza e volevo essere lì per le sette.

Borbottai mentre strisciavo fuori dal letto e andai assonnata verso il bagno barcollando.

Mi lavai la faccia e i benefici furono rapidamente visibili, anche se sembravo ancora intontita, e mi lavai i denti prima di fare la doccia.

Mi ci vollero dieci minuti per prepararmi.

Raddrizzai la schiena e mi sistemai la gonna grigia logora che mi arrivava alle ginocchia.

La camicetta azzurra era infilata dentro la gonna. Le mie guance erano rosee e facevano brillare i miei occhi nocciola.

Il mio sguardo sembrava più ampio grazie al mascara che mi sollevava le ciglia.

Legai i capelli castani in una coda di cavallo, non una singola ciocca venne persa.

Speravo di sembrare abbastanza sofisticata per il colloquio.

Non mi piaceva truccarmi, così andai con il mio look naturale.

Applicai solamente un rossetto color carne. Indossavo i vecchi tacchi neri che avevo comprato due anni prima.

Sapendo che Beth stava ancora dormendo, così le lasciai un biglietto prima di prendere la mia borsa e lasciare il nostro appartamento.

Londra era davvero una città molto fredda e poiché tutti i miei cappotti erano davvero molto consumati, non potei indossarne nessuno.

Volevo avere un bell'aspetto, non volevo essere guardata dall'alto in basso.

Presi un taxi e quando dissi all'autista dove mi avrebbe dovuta portare, mi guardò scioccato.

Mi chiese di nuovo dove fossi diretta e io gli ripetei l'indirizzo.

“È sicura che è lì che vuole andare, signora?” chiese, con tono insicuro.

“Sì”, affermai, sempre più infastidita.

In seguito non disse nulla, ma di tanto in tanto lo sorpresi a guardarmi attraverso lo specchietto retrovisore come se non potesse ancora credere che stessi andando in un posto simile.

Fermò la macchina dall'altro lato della strada della Campbell Industry e quando fui sul punto di chiedergli perché non mi stesse lasciando di fronte all'edificio, disse,

“Mi dispiace, signora, ma a nessun taxi è consentito sostare davanti all'edificio. Devo lasciarla qui”.

La mia bocca formò una “O”, mentre scuotevo la testa incredula.

Uscii e mi sistemai la camicetta.

Se qualcuno si fosse fermato a osservarmi, avrebbe notato il nervosismo trasudare.

La Campbell Industry mi fissava. Era un edificio enorme che aveva circa sessanta piani.

Era grande, ampio e intimidatorio.

Superai con cautela una guardia di sicurezza all'ingresso ed entrai nell'edificio.

Venni accolta da un sacco di persone che passeggiavano nei loro vestiti costosi e ordinati e mi sentii a disagio per quello che stavo indossando io.

Sembravano tutti nervosi come se stessero tenendo il mondo intero sulle loro spalle.

Mi recai direttamente dalla receptionist nervosamente. Era una donna dai capelli rossi, vestita elegantemente con un abito blu.

Anche i suoi capelli sembravano essere perfettamente fatti.

Il suo viso era coperto da una quantità minima di trucco.

I suoi occhi nocciola mi valutarono, la sua espressione era di puro disgusto.

“La caffetteria è in fondo alla strada, signora”, disse con un leggero accento italiano.

“Cosa?” Chiesi, confusa.

Mi fissò come se fossi una stupida.

“Non è lì che vuoi andare?”

“No. Sono qui per un colloquio”.

Lei alzò il suo sopracciglio perfetto, la sua bocca si incurvò verso l'alto. “Oh?”

Mi esaminò di nuovo, fece schioccare la lingua prima di incontrare di nuovo il mio sguardo.

Avrei voluto darle un pugno in faccia. Non credeva che il mio posto potesse essere lì.

Come si era permessa!

La receptionist inspirò drammaticamente prima di fare un sorriso finto.

“Ventesimo piano. Gira a sinistra e ti troverai tra quelli che sono qui per il colloquio”.

Le mie labbra si contrassero.

Stava insinuando che c'era un sacco di gente per il colloquio e che io avevo zero possibilità di ottenerlo?

Testa di cazzo.

“Grazie”, risposi forzatamente.

“Buona…” Lei mi fissò di nuovo dall'alto in basso, la sua faccia si capovolse. “…fortuna”.

Mi sentii un po' irritata, ma cercai di calmarmi e mi diressi verso l'ascensore.

Dovetti attendere qualche secondo prima che si aprisse e mi precipitai all'interno.

Prima che si chiudesse, udii un trambusto.

Una donna veniva trascinata fuori da una guardia di sicurezza e stava piangendo.

Chiaramente, in preda a un crollo mentale.

“No!” gridava. “Non potete farmi questo! Ho lavorato qui per tre anni!”

La osservai mentre cercava di lottare contro la guardia di sicurezza.

“Sono leale! Non potete farmi questo!”

L'ascensore si chiuse, bloccando le grida e le urla della donna.

Il mio battito cardiaco accelerò.

Mi dispiaceva per la donna.

Qualsiasi cosa avesse fatto, non meritava di essere trattata così.

Aveva lavorato per tre anni!

Meritava almeno un po' di rispetto.

La mia schiena si appoggiò alla parete e chiusi gli occhi. Era davvero un'idea così buona dopotutto? Quello era l'unico posto con uno stipendio così buono.

Lo stavo facendo per papà, non avrei dovuto pensarci due volte a lavorare lì.

Lavorare lì?! Non hai ancora il lavoro e non sai nemmeno se sarai tu la fortunata.

Stringendo gli occhi, speravo che quel colloquio sarebbe stato un successo.

Non potevo permettermi di rovinare tutto.

La vita di papà era in gioco.

Non puoi, Lauren.

Andresti alla grande se solo ti calmassi e credessi in te stessa.

Sì, sapevo che il colloquio sarebbe andato bene.

“Non scendi?” Venni spaventata dalla voce di un uomo accanto a me.

Mi resi conto che avevo raggiunto il ventesimo piano e farfugliai una rapida scusa a quell'uomo anziano con l'abito grigio e uscii.

L'area sinistra dell'edificio aveva un'enorme finestra e fissai l'incredibile vista su Londra.

Il mio telefono nella borsa non vedeva l'ora di uscire per scattare una foto.

Prima che questo potesse accadere, ricordai a me stessa la ragione principale perché mi trovavo lì.

Seguii le istruzioni della receptionist e, fedele alle sue parole, c'era molta gente.

Erano così tanti che non riuscivo nemmeno a vederne la fine.

E tutti indossavano bei vestiti.

Un gruppo di ragazze mi diede un'occhiata e le sentii ridere.

Cosa c'era sulla mia faccia? Volevo chiedere.

Alzando lo sguardo, notai che non avevano smesso di fissarmi e mi stavano ancora deridendo.

Distolsi lo sguardo con rabbia.

Solo perché erano più sexy di me e indossavano abiti più belli, non significava che dovevo essere trattata in quel modo.

Mi feci strada tra tonnellate di corpi, cercando di trovare un posto dove sedermi.

Ne individuai uno alla fine della stanza e mi ci diressi. Ma prima che potessi raggiungerlo, un uomo mi aveva già preceduta.

Scrollai le spalle e lo guardai in malo modo.

Mi voltai per tornare dov'ero in precedenza, e prima che potessi accorgermene, mi trovai sballottata verso diverse direzioni.

Fui spinta verso una porta d'argento e attraverso di essa.

Poi, si chiuse automaticamente.

Andai in panico quando non si riaprì.

Tentai di nuovo, ma senza successo.

Non si apriva e basta.

Maledizione!

Mi girai per cercare di capire dove fossi finita e mi trovai in un lungo corridoio buio, alla fine del quale c'era un ascensore.

Tirai un sospiro di sollievo.

Una via d'uscita.

Si aprì quando spinsi il pulsante e mi affrettai a entrare.

Cercai di premere il ventunesimo pulsante, ma trovai solo un tasto con un logo Campbell sopra.

La mia faccia aveva un'espressione confusa.

Decidendo che sarebbe stato meglio andare lì piuttosto che restare senza via d'uscita, premetti il pulsante con il logo.

Il mio cuore iniziò a correre senza una ragione apparente e notai che le mie mani tremavano leggermente.

Sembrava soffocante lì dentro e mi sentivo come se ci fosse la presenza di qualcosa di estremamente potente e terrificante.

Cosa diavolo c'era di sbagliato in me?

Perché mi sento così spaventata?

Ma che diavolo?

L'ascensore si fermò e si aprì. Uscii con la stessa rapidità con la quale ero entrata.

Forse sarei stata in grado di respirare ora che ero fuori, ma cos'era quel posto?

Perlustrai attorno e la mia bocca si spalancò.

Letteralmente.

L'ufficio era gigantesco e mozzafiato.

Era lucido e di lusso.

Tutto lì dentro urlava “costoso”.

I sedili in pelle bianca brillavano e non volevo toccarli per non rovinarli.

La vista era ancora più sorprendente lì dentro.

Ebbi un sussulto quando i miei occhi vennero catturati da alcuni dipinti sul muro e mi resi conto che erano le opere d'arte di cui tutti parlavano.

Si diceva costassero un miliardo di sterline.

Porca puttana.

C'erano un camino e una grande TV a schermo piatto.

Letteralmente, tutto nell'ufficio era bianco, anche le penne erano bianche.

Non potevo descrivere tutto perché i miei occhi furono improvvisamente accecati da così tanto lusso.

Sentii la porta che si apriva e diversi passi.

Prima che mi rendessi conto di ciò che mi stava accadendo, venni spinta a terra violentemente e mi trovai con una pistola puntata testa.

Porca puttana.

Questo succede solamente nei film.

Non era possibile che fosse reale.

Non era possibile che fossi a terra con una pistola in testa come un dannato criminale.

Tentai di alzarmi, ma venni spinta di nuovo verso il basso.

Trasalii stringendo i denti.

“Dichiara il motivo per cui ti trovi in un ufficio privato prima che ti faccia saltare le cervella”, abbaiò, tenendo la pistola puntata su di me.

Ufficio privato?

Come diavolo facevo a sapere che era off-limits?

“Parla! Ora!”

Tremavo dalla paura.

“Io… mi sono persa. Non sapevo che non potessi entrare”.

“Mi dispiace, per favore non sparatemi”, implorai, mentre chiudevo gli occhi e pregavo Dio di non finire morta senza nessuno dei miei cari vicini a me, e certamente non lì.

“Ritirati, Gideon”, disse qualcuno, facendomi sospirare di sollievo.

Sentii che ritraeva la pistola che aveva dietro la mia testa.

Rimasi a terra, senza sapere se avevo il permesso di alzarmi.

Vedi, tengo molto alla mia vita.

“Alzati”.

Non c'era bisogno che me lo dicessero due volte.

Alzandomi da terra, mi voltai lentamente verso gli uomini in piedi davanti a me in abiti neri, con le pistole in mano.

Rabbrividii quando i miei occhi trovarono quello che aveva la pistola puntata su di me.

“Come ti chiami?”

“Lauren Hart”, sollevai il mento, sperando che la mia voce suonasse più ferma di quanto non lo fosse per me.

“Non volevo venire qui. Sono qui per il colloquio e sono stata spinta attraverso una porta”.

“Non potevo tornare indietro e l'unica via d'uscita era un ascensore che mi ha condotta qui”.

“Se pensate che sia qui per rubare, vi state sbagliando”.

Costringendomi a essere coraggiosa, continuai: “Per favore, lasciatemi andare”.

Si guardarono l'un l'altro e non mi ci volle un minuto per capire che stavano comunicando tra loro attraverso lo sguardo.

Quello che pensavo fosse il capo fece un cenno prima che uno di loro uscisse dall'ufficio.

“Allora… che ne dite se me ne vado e basta?” Sorrisi e feci un passo avanti ma uno di loro mi fermò.

“Oppure…no”. Feci quindi un paio di passi indietro.

“Sentite, non c'è più motivo per me di stare qui.

“Vi ho già detto che non ho rubato nulla. Lasciatemi solo andare per la mia strada. Ho un colloquio a cui devo partecipare”.

Mi ignorarono.

Poi…

Iniziai a tremare.

All'improvviso, l'aria cambiò.

Il freddo dell'ufficio mi colpì, facendomi battere forte il cuore nel petto.

Potevo quasi sentire una scarica di emozioni, una forza potente che cercava di dimostrare la sua furia.

Afferrai la mia borsa con forza, la sensazione mi fece quasi cadere in piedi.

Ne udii i passi arrabbiati prima di individuarlo.

Lo giuro…

Mi si fermò il respiro.

In piedi, la sua posa potente mi fece trattenere l'aria in gola.

Respirava forte, il suo petto ampio e ben muscoloso si alzava e si abbassava come se avesse appena corso una maratona.

Era vestito di nero dalla testa ai piedi; il completo scuro di Armani, con camicia e cravatta faceva sembrare le sue potenti braccia e il suo petto quasi vivi, quasi sfidando chiunque a dubitare della sua ferocia e della sua bellezza.

Era bellissimo, quasi come se fosse stato lui a scolpire se stesso; zigomi che avrebbero fatto invidia a qualsiasi uomo e donna, naso dritto e labbra rosse.

E i suoi occhi, oh Dio, i suoi occhi erano argento puro.

Erano gli occhi più intensi ma allo stesso tempo freddi che avessi mai visto in vita mia.

Passò le dita tra i suoi capelli scuri, i suoi occhi d'argento quasi pronti ad abbagliare qualsiasi povera anima abbastanza stupida da lanciargli un'occhiata.

Il suo sguardo era sufficientemente caldo da cancellare l'esistenza del genere umano.

Questo era Mason Campbell.

L'uomo più terrificante del paese.

Sussultai.

L'uomo che stava davanti alla porta si levò di mezzo mentre il Signor Campbell entrava a grandi passi, i suoi movimenti erano potenti e sicuri.

Non mi degnò di uno sguardo mentre prendeva posto dietro la sua scrivania e procedeva a scorrere alcuni file.

Nessuno disse una parola per cinque minuti e io cominciai a essere stanca e le mie gambe a intorpidirsi.

Nessuno mi chiese quale fosse il mio nome e nessuno era ancora pronto a lasciarmi andare.

Trascorsero altri cinque minuti prima che lui sollevasse la sua grande e forte mano e mi facesse cenno di andarmene.

Rilasciai il respiro che stavo trattenendo e mi voltai per andarmene quando ricevetti un'occhiataccia da Gideon mentre i suoi uomini iniziavano a lasciare l'ufficio. Il mio stomaco cedette allora.

Non mi aveva fatto cenno di andarmene.

Se ne andarono tutti e io rimasi sola a cospetto della sua potente presenza.

Cercai di comportarmi in modo naturale, ma dannazione, stavo fallendo.

Rimasi congelata al mio posto, ma continuavo a muovere le braccia e le gambe, solo per smettere di essere così nervosa.

Volevo guardare Mason Campbell, ma avevo paura che se lo avessi fatto sarei stata trasformata in cenere o in pietra.

Nessuna delle due cose suonava bene.

“Smettila di disturbare la mia pace”, la sua voce morbida, ma fredda e mortale.

Non credevo che fosse consapevole che mi trovassi lì.

Non facendo alcun tentativo di nascondere il suo turbamento, Mason Campbell fissò il suo sguardo, ora più scuro su di me, la ragazza che aveva osato disturbare la sua pace.

“O farei qualcosa al riguardo”.

Il mio petto divenne così stretto che riuscivo a malapena a respirare.

La paura mi martellava, l'immagine di me stessa che giaceva fredda e morta in un luogo abbandonato mi balenò nella mente, suscitando in me emozioni profonde.

Me la feci quasi nelle mutande.

“Siediti”.

Con le gambe tremanti, fui veloce a sedermi in una delle sedie di fronte a lui, pensando che sarei stata più al sicuro fuori dalla sua vista. Ma non avevo scelta.

“Perché sei qui?” chiese senza distogliere lo sguardo dai fogli su cui stava scrivendo.

Volevo dare un'occhiata, per vedere com'era la sua scrittura.

Era brutta? Era bella?

Sapevo che sarebbe stata quest'ultima.

Mi spostai sul mio sedile, volendo parlare prima che si arrabbiasse.

Ricordai cosa si dicesse di Mason Campbell.

Le uniche emozioni selvaggiamente intense che aveva mai provato nella sua vita erano la rabbia e la fredda oscurità del suo stesso cuore.

Dicevano che la sua rabbia era così feroce da raggelare le ossa delle persone.

Pensai che fosse folle, che non poteva essere quello che tutti dicevano di lui, ma cominciavo a pensare il contrario.

“Io… io… io…” Balbettai per la paura, la frase che volevo dire si rannicchiò dietro il mio cuore.

Mason smise di scrivere e improvvisamente alzò lo sguardo verso di me.

I potenti occhi argentati che si scontrarono con i miei mi fecero sussultare.

Continuò a bucarmi con uno sguardo decisamente appuntito.

“Attenta a quello che dici”, disse prima di inclinare la testa.

“Ti… spavento?”

Mi leccai le labbra prima di parlare: “È una domanda a trabocchetto? Chiesi a bassa voce.

Non ricevendo alcuna risposta in cambio, aggiunsi: “S…sì”.

Lui alzò un sopracciglio perfetto.

“Oh?”

“Non vorrei dire qualcosa di sbagliato che potrebbe finire con me che giaccio morta nella fredda notte.

“La gente dice che sei un killer freddo e duro e che provi piacere nell'uccidere le tue vittime o nel farle sparire”.

Non mi resi nemmeno conto di quello che avevo appena detto fino a quando non lo realizzai.

I miei occhi si allargarono e misi una mano davanti alla bocca.

La sua mascella si strinse e lui si passò una mano sul viso.

“Faresti bene a ricordare con chi stai parlando, signorina?” il suo sguardo dagli occhi d'argento duro come il ghiaccio, la sua voce profonda altrettanto fredda.

“Hart”, risposi, la mia voce tremante.

“Lauren Hart. E naturalmente, il signor Campbell”.

“Signorina Hart, non mi piace molto ripetermi. Perché sei qui?” incalzò, la sua voce più forte questa volta.

Più forte, e con una rabbia scoppiettante e impazienza.

“Per un colloquio. Non dovrei essere qui. Sono stata spinta contro una porta e l'unica via d'uscita era un ascensore che mi ha condotta in questo ufficio. Mi dispiace molto.

“Se è così gentile da lasciarmi andare, me ne andrei”.

“Non sono gentile”, disse come se fosse disgustato da quella parola che non gli era familiare.

“Certamente. Se lei fosse gentile abbastanza?”

Raddrizzando la schiena per portarsi alla sua massima altezza, il signor Campbell inclinò un sopracciglio.

Un sopracciglio di sfida.

“Nessuna differenza”.

L'irritazione mi scorreva nelle vene, il suo sguardo che emanava ora calore, incontrò il mio freddo.

“Se fosse così generoso da lasciarmi andare? Non la disturberei più”.

“Possiede un dizionario, signorina Hart?” Chiese senza battere ciglio.

“Sono le uniche parole che conosce?” Quando tentai di rispondergli, mi interruppe.

“Era una domanda retorica”.

“Oh”.

“Infatti”, aggiunsi con un tono che mi fece dubitare del fatto che stesse pensando che fossi un idiota.

“Passami il tuo curriculum”.

Lo scrutai per un lungo e incomodo momento.

“Vuole vedere il mio curriculum?”

“Sto parlando inglese, vero? Passami il tuo curriculum”.

Gli passai velocemente il mio curriculum e iniziò a leggerlo.

“Hmm. Hai frequentato la Knight, ovviamente, non mi aspettavo che tu avessi preso buoni voti.

“Hai avuto solamente due lavori. Zero esperienza quindi”, disse tra sè e sè, scandendo attentamente ogni parola.

Il suo viso si accartocciò in uno strano mix di pietà e rimprovero.

“Avevi zero speranze di ottenere questo lavoro”.

“Da quello che vedo, non sei abbastanza qualificata per lavorare alla Campbell Industry, signorina Hart”, replicò, ogni fibra del suo essere mi sfidava ad affermare il contrario.

Incrociai il suo sguardo d'acciaio, la mia rabbia era pronta a esplodere.

Strinsi le labbra e sperai che non notasse il muscolo che si muoveva sul mio viso.

“Cosa? Non avrò il lavoro?” Chiesi, le sue parole piombarono come un coltello che si conficcò dritto nel mio cuore.

Sapevo di non avere nessuna possibilità, ma questo non significava che non ne stessi soffrendo.

Quella era la mia unica possibilità di ottenere un lavoro perfetto con un buon stipendio.

Avrei voluto dire che non dovevo essere intervistata da lui, che era stata una certa Mary Warner a chiamarmi per il colloquio.

Ma sono una codarda.

“Stai per piangere?” chiese, inclinando la testa di lato.

“No… ho solo…”

“Bene. Perché odio le donne deboli che non sono abbastanza forti da gestire la verità. Asciugati le lacrime prima di lasciare qui il tuo DNA”.

Mi irrigidii e una vena nella mia fronte iniziò a pulsare.

“Grazie per il suo tempo, signor Campbell”.

Il mio cuore batteva di una rabbia bollente mentre tentavo di alzarmi e lasciare il suo dannato ufficio e la sua orrenda personalità.

“Ma… saresti qualificata per un'altra cosa. C'è un posto di lavoro che ti si addice molto. Ti piacerebbe essere la mia assistente? Non montarti la testa, però”.

“Farai semplicemente le mie commissioni, risponderai alle mie chiamate e mi porterai il tè. Il tuo stipendio, ovviamente, non sarà molto alto”.

Feci una serie di lunghi e profondi respiri finché la tensione in me non cominciò a diminuire.

“Signor Campbell, se lei…”

“Prendere o lasciare. C'è una fila di persone che si lancerebbero giù dalla finestra per questo lavoro”.

Chiudendo gli occhi, mi pizzicai il naso e repressi l'impulso di buttare indietro la testa e urlare. “Sì, ma…”

Lui distolse lo sguardo da me e guardò le carte davanti a sé.

“Buona giornata, signorina Hart”.

Una parte di me stava urlando che era un buon lavoro e un'altra stava urlando che non meritavo di essere calpestata in quel modo, ma la parte di me che urlava più forte, vinse.

“Lo accetto! Accetto il lavoro”. Serrando le labbra, ingoiai l'amarezza che mi salì in gola e lo guardai con disprezzo.

“Signor Campbell, mi sta ascoltando?”

“Ho detto che accetto il lavoro”. Tutto il mio corpo fremeva di agitazione, strinsi le mani a pugno sotto la scrivania mentre lui mi ignorava.

“Ci vediamo lunedì alle otto in punto”, mi liquidò senza nemmeno avere la premura di guardarmi.

“Grazie mille! Non lascerei…”

Mi interruppe: “Vedi di uscire ora”.

Che idiota. Uscii silenziosamente dall'ufficio, la mia mente ripassava i 20 minuti di conversazione che avevo avuto con lui, e in quel tempo, non mi aveva mai detto niente di carino.

Come si può lavorare per una persona del genere?

Ricorda, Lauren. Tu lavori per lui ora. Oh sì, che sfortuna.

Se non fossi stata così disperata nel trovare un lavoro, non avrei accettato di essere la sua assistente.

Anche se lo stipendio non era quello che volevo, avrei accettato comunque la sua offerta.

Non potevo negarlo, ma avevo pensato di non accettare, poi mi ricordai di mio padre e di come avessi fatto tutto per lui.

Speravo solo di sopravvivere lavorando per Mason Campbell.

 

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2

Il mio primo giorno alla Campbell Industry andò alla grande, così dannatamente bene che desideravo poterlo rivivere giorno dopo e il giorno dopo ancora.

Provate a pensare alla cosa più bella che vi sia mai successa, ora moltiplicatela per cento. Ecco come mi sentivo.

È chiaro il sarcasmo?

Ecco come andò la giornata.

Non ricordavo quale fosse stata l'ultima volta che mi svegliai per prepararmi per andare al lavoro ed essere eccitata e nervosa allo stesso tempo.

Dormii a malapena la notte prima.

La mia mente continuava a ricordarmi che sarei andata a lavorare per Mason Campbell. A un certo punto, iniziai a darmi dei pizzicotti, pensando che non fosse altro che un sogno.

Quando lo raccontai a Beth, la mia migliore amica e coinquilina, ebbe il coraggio di ridermi in faccia e di darmi della bugiarda.

Non credeva che sarei mai potuta arrivare a parlare con Mason, che non ero abbastanza importante per scambiare due parole con lui o stare in sua presenza.

Pensava che avessi trovato lavoro in qualche posto squallido e io non volevo ammetterlo e mi inventai di dire che stavo lavorando alla Campbell Industry.

Se dicessi che non in quel momento mi sentii profondamente insultata, mentirei.

Parlava come se Mason fosse un Dio che non poteva essere avvicinato.

Ma la verità era che Mason non era un Dio e neppure un Angelo.

Non era qualcuno che distribuiva caramelle ai bambini e diceva parole carine che avrebbero fatto sentire il calore nel cuore di chiunque.

Era Satana.

Mason era quello che rubava le caramelle ai bambini e le mangiava davanti a loro.

Era quello che ti avrebbe spinto davanti a un'auto in movimento.

Era quel tipo di persona che avrebbe detto di proposito le parole sufficienti a farti venire un attacco di cuore o a lasciarti una cicatrice dentro.

C'era però una cosa buona in lui.

Era un bel vedere, questo non potevo negarlo.

Perché gli uomini belli sono maleducati, freddi e senza cuore? Stavo parlando per esperienza.

L'ultimo bellissimo fidanzato che avevo avuto qualche anno prima mi tradì.

Mi disse che ero noiosa ed esigente. Lo stronzo.

Ok, forse quello non era un motivo sufficiente.

Ma che dire di quei bei ragazzi a cui avevo sorriso e ottenuto una risposta fredda in cambio, eh?

Comunque, Mason era il più grande coglione di tutti.

Il coglione che disse subito che non ero intelligente. Aveva osato prendere in giro la mia università.

E quelli potevo considerarli complimenti rispetto a ciò che aveva detto sul fatto che non avevo esperienza.

Potevo solo immaginare quanto sarebbe stato terribile lavorare per lui.

Forse era semplicemente di cattivo umore quella volta? Forse non era davvero così male e l'avevo giudicato io così.

Comunque sia, sarei stata la miglior assistente con cui avesse mai lavorato prima.

Non gli avrei dato una ragione per scagliarsi contro di me e sogghignare.

Mi svegliai presto, mi vestii e misi la maschera felice e coraggiosa.

Senza preoccuparmi di svegliare Beth e dirle che me ne stavo andando visto che la stronza avrebbe potuto dire qualcosa che non mi sarebbe piaciuto, presi tutto e lasciai l'appartamento.

In mia opinione, quello che stavo indossando era la cosa migliore che potessi trovare nel mio armadio.

Potevo tranquillamente indossare quel bel vestito a un matrimonio o per un'altra occasione speciale, ma non potevo credere che lo stessi indossando per andare al lavoro.

Né potevo credere all'ostilità che notai quando misi piede in CI.

A quanto pare, si era sparsa la voce che ero la nuova assistente del capo.

Questo non accadeva da un po' di tempo.

Ignorando i pochi sguardi che ricevetti premetti il mio dito sudato sul pulsante che mi avrebbe condotta al piano del signor Campbell.

La porta si aprì, uscii a passi nervosi e se le mie gambe avessero potuto prendere delle decisioni per conto loro, sarebbero fuggite via di lì.

Quando entrai nell'edificio, non sapevo dove diavolo sarei finita.

Non potevo piombare nell'ufficio del signor Campbell e chiedere dove fosse la mia scrivania.

Inoltre, non pensavo fosse già arrivato.

“Lauren Hart?”

Mi voltai al suono del mio nome e mi trovai faccia a faccia con una bellissima donna.

Era davvero bella e vestita bene. Ne fui invidiosa.

Tutto quello che volevo fare era tirarle i capelli e rovinarle gonna e camicetta.

Volevo rovinare quella donna e non sapevo il motivo.

Oh, io sapevo perché. Era molto più bella di me.

Dio solo sa cosa vide quando mi guardò.

Io sapevo cosa vedevo quando mi osservavo.

Sembrava avere ventiquattro o venticinque anni.

“Sì?” Risposi educatamente. Feci persino un sorriso.

Lei lo ricambiò? No.

“Mi chiamo Jade. Sono un po' sorpresa di vederti qui così presto, anche se è una buona cosa. Al signor Campbell non piace quando i suoi dipendenti arrivano tardi al lavoro”.

Avrei voluto dirle “Non sei venuta un po' prima di me, stronza?” ma invece sorrisi di nuovo.

“Sono sicura che nessuno lo fa. È una buona cosa che io sia mattiniera.

“Il signor Campbell non deve preoccuparsi di questo”.

“Hmm”. Lei annuì, mentre masticava la sua penna e decise di darmi un'occhiata e chiaramente non le piacque ciò che vide.

“Nessuno mi aveva avvisata sull'aspetto della nuova assistente del signor Campbell, e devo dire che sono un po' delusa. Mi aspettavo molto di più. Ma immagino che avesse avuto pietà di te.

“Se fossi stata in lui, anch'io avrei avuto pietà di te”.

L'avrei presa a schiaffi, avrei voluto ucciderla a sangue e seppellirla due metri sotto terra dove il suo cadavere sarebbe marcito e ne sarebbero rimasti solo ossa e teschio.

Il capo e i dipendenti erano tutti uguali?

Si comportavano tutti come se fossero migliori degli altri.

Sorrisi ampiamente.

“Immagino che abbia visto quello che non vedeva in nessuno. Devo considerarmi fortunata allora”.

Lo sguardo assassino sul suo volto mi diede un po' di soddisfazione.

“Come vuoi. Seguimi e ti mostrerò la tua scrivania”.

La seguii avvicinandomi, i miei occhi immaginavano pugnali trafiggerle la schiena.

Nel momento in cui si voltò, stampai un dolce sorriso sulla mia faccia.

Mi indicò una scrivania con un portatile bianco sopra.

Il tavolo era posizionato contro il muro, accanto a una grande porta doppia.

“Ti siederai qui”, disse.

“Puoi mettere solo una cosa personale sulla tua scrivania perché al signor Campbell non piace troppo. Il tuo compito è quello di rispondere al telefono e completare il suo lavoro.

“Hai capito?”

“Sì”.

“Molto bene. Benvenuta alla Campbell Industry. Vedremo quanto durerai”.

Mi morsi la lingua e forzai il respiro attraverso il naso.

“Ti assicuro che starò qui più a lungo di te”.

Notai il suo sopracciglio contrarsi ma non disse nulla. Se ne andò, lasciando che mi sistemassi.

Non trascorsero neppure trenta minuti prima che il signor Campbell entrasse come una tempesta pronta a risucchiarti nel suo vortice.

Il suo volto non conteneva emozioni e quegli occhi di pietra potevano porre fine alla tua esistenza.

Rimasi in piedi a bocca aperta, incapace di staccare gli occhi dalla pura muscolatura delle sue braccia, del suo petto e delle sue gambe.

Il modo in cui il suo abito blu di Armani si attaccava al suo corpo come una seconda pelle.

C'era una perfetta letalità e predatorietà nei suoi movimenti mentre camminava.

Il mio cuore batteva forte per il fascino.

Era un uomo potente, incredibile in ogni modo, e la sola vista di lui, nella sua gloria, mi mise quasi in ginocchio.

Fu come se l'avessi incontrato per la prima volta.

Tutti gli fecero un cenno di buongiorno, ma lui li ignorò e passò oltre con una grazia che non avevo mai visto in nessuno, mentre andava nel suo ufficio.

Era un uomo così scortese.

Rimasi alla mia scrivania per qualche minuto prima di raccogliere tutto il mio coraggio e avvicinarmi al suo ufficio.

Bussai alla sua porta. Una, due volte senza ottenere risposta.

Decisi di bussare di nuovo.

Questa volta più forte.

“Cosa c'è?!” La sua voce profonda e tonante.

Sembrava che rimbombasse con forza all'interno dell'edificio.

Inghiottendo la bile che mi era salita in gola, girai la maniglia e spinsi la porta fino ad aprirsi.

Entrai nel suo freddo ufficio e chiusi la porta dietro di me.

“Buongiorno, signore”, salutai, con il cuore che mi batteva nel petto.

Il signor Campbell alzò lentamente la testa per guardarmi.

Appariva più spaventoso di quanto potessi immaginare e non potevo controllare il brivido che percorse il mio corpo quando quegli occhi d'argento si fissarono su di me.

Non c'era nulla di familiare nel suo sguardo.

Trattenni il respiro.

Il suo sguardo vagava su di me, quasi pigro.

Percepii la sua noia. Sentii del fastidio.

Una distanza che era quasi glaciale ci separava.

I nostri occhi rimasero bloccati, per un lungo e snervante momento.

Un centinaio di sentimenti mi attraversarono in quell'istante. Era come se tutto il resto del mondo si fosse fermato.

Quest'uomo… era spaventoso. E potrei avergli venduto accidentalmente la mia anima.

“Sì? Posso aiutarti?” abbaiò.

Lo fissai, incapace di capire cosa volesse dire. Non mi era permesso venire a salutarlo finché non avesse avuto bisogno di me.

Prima che potessi dire qualcosa, mi sparò altre domande.

“Come sei arrivata qui? Chi ti ha fatta entrare?” Premette un interfono a cui parlò.

“Chi ha fatto entrare questa donna?

“Ti pago per far entrare un'estranea nel mio ufficio? Mi stai chiedendo quale donna? Sei licenziato!”

Stava alzando la voce verso il povero uomo che lo stava ricevendo.

Era una voce che per me rappresentava la morte improvvisa.

“Per favore, signor Campbell, mi ha assunta per essere la sua assistente. Lauren Hart, ricorda?”

Chiesi con una voce strozzata e supplicante.

Il mio cuore batteva forte e non riuscivo a muovermi.

Il mio istinto più profondo mi avvertiva di non farlo arrabbiare ulteriormente.

Era come una tempesta che non perdona, una forza con cui non bisognava fare i conti.

Mason alzò le sopracciglia appena si ricordò, puntando la sua penna su di me mentre lo realizzava.

“Hai certamente un aspetto diverso. Beh, non così brutto come l'altro giorno, ma almeno è un progresso”.

“Sì, signore”, risposi, lottando per mantenere il mio tono leggero e semplice.

“Cercherò di essere all'altezza delle aspettative di questa azienda”.

Alla fine spostò il suo sguardo da me e replicò: “Non vedo come questo possa essere possibile, signorina Hart”.

Lo fissai mentre scribacchiava qualcosa su un pezzo di carta.

“Prendi questo”. Mi mossi velocemente per prendere il foglio, le nostre dita quasi si toccarono nel processo se solo non avesse lasciato la presa immediatamente prima che accadesse.

“Queste sono la mia e-mail e la password”.

“Rispondi a tutte le mie e-mail. Ignora quelle che non sono rilevanti. Non fissare un incontro senza prima consultarmi. Mai, signorina Hart, rendere pubblica una delle mie e-mail”.

“Mantieni le mie email private. Se scopro che ne hai parlato con qualcuno, famiglia o amici, ti assicuro che te ne pentirai amaramente”.

Il mio cuore iniziò a battere forte e odiavo il fatto che potesse evocare questa ansia in me. E lo stava facendo intenzionalmente.

Certo, lo stava facendo.

“Ogni mattina alle 9 esatte, mi porterai il mio tè, non il caffè. Mi piace nero. Non deve essere né troppo freddo né troppo caldo.

Tutti i file che devo firmare devono essere sulla mia scrivania prima del mio arrivo”.

“Non entrare nel mio ufficio e non sono ammesse visite dalle 12 alle 13. Prendi il mio pranzo dal ristorante Roseire. È a un'ora di macchina e non mi interessa come ci arrivi. Basta chiedere il mio solito”.

“Tieni presente che mi serve caldo e sul tavolo per le 2. Se diventa freddo, detrarrò il prezzo dal tuo stipendio”.

Fa sul serio?

Dio, è così prepotente.

Eccolo, seduto lì, che enuncia i suoi ordini come se governasse la terra o qualcosa del genere.

Dio, se quest'uomo governasse il mondo, saremmo tutti condannati.

Non avevo passato molto tempo in sua presenza ma potevo affermare che il mondo avrebbe sofferto per mano sua.

“Mi stai ascoltando?” Chiese indignato.

La rabbia usciva dal suo viso, il suo sguardo viaggiava su di me in modo critico.

Qualcosa di oscuro balenò attraverso la sua espressione che mi fece rivoltare lo stomaco.

Deglutendo, annuii con la testa.

I suoi occhi si strinsero. “Tu non annuisci. Tu parli quando ti viene fatta una domanda, hai capito?”

“Sì, signore”. Abbassai lo sguardo prima di guardarlo.

L'espressione feroce sul suo volto mi riempì di terrore.

Continuò con il suo tono freddo e spietato.

“Mi sono preso la libertà di scriverti questo”. Mi lanciò quello che sembrava un manuale. “Leggilo. Seguilo. Se vuoi essere ancora qui tra una settimana”.

“Le prometto che non la deluderò”, dissi a bassa voce.

“Non mi interessa se mi deluderai, signorina Hart. Sarei felice se lo facessi. Confermerebbe solo ciò che penso di te. Non credere di essere entrata ufficialmente nell'industria Campbell”.

“Sei in prova. Qualsiasi errore ti farà uscire da qui più velocemente di quanto tu possa battere ciglio. Come ho detto, non sei l'unica che vorrebbe questo lavoro”.

“Ci sono persone con più talento di te”. Intrecciò le dita davanti a sé.

“E non metterti in testa di essere speciale”.

Figlio di puttana.

Una risposta balzò alle mie labbra, ma mi fece tacere con la sua mano alzata.

“Questo è tutto”.

Mi girai e lasciai silenziosamente l'ufficio.

Mi sentivo come se mi avessero appena detto che qualcuno che conoscevo era morto e stavo piangendo per quella persona.

Non sapevo nemmeno cosa pensare.

Sapevo che Mason Campbell era molte cose ed essere un uomo scortese era una di queste, ma non sapevo che potesse essere così tanto scortese.

Senza avere alcun contatto visivo con nessuno, mi diressi alla mia scrivania.

Mi sedetti, contando da uno a dieci prima di spostare la mia attenzione sul manuale dell'impiegato che mi era stato consegnato.

Stavo per iniziare a sfogliarlo quando udii un colpo di tosse.

Alzai la testa e affrontai Jade, che aveva una faccia da “ti odio ma non posso farci niente”.

“Sì?”

Alzai gli occhi.

“Dovrei farti fare un dannato tour come se non avessi niente di meglio da fare”, disse sogghignando, girandosi senza aspettare che io dicessi niente.

Fissai la sua forma che si ritirava, chiedendomi quando mai avesse iniziato ad avere la sindrome premestruale o se la sua stronzaggine le veniva naturale. Erano tutti così terribili lì dentro?

Non riuscivo a ricordare l'ultima volta che mi ero ritrovata circondata da persone così ignobili.

Neanche alle superiori erano così male e questo era tutto un dire.

La signorina “faccia da stronza” probabilmente pensava di essere una delle persone migliori in questa compagnia, una che ti avrebbe pestato i piedi a prescindere e che pensava che tutti dovessero seguirla.

Beh, non avevo intenzione di essere la servetta di nessuno.

Guardai di nuovo il manuale, aprendo la prima pagina.

“Non vieni?” Sentii Jade scattare verso di me.

Guardando la sua faccia arrabbiata, alzai un sopracciglio.

“Oh, non sapevo che volevi che ti seguissi. Avresti dovuto dirlo”.

Chiusi il manuale e mi alzai per seguirla.

I trenta minuti successivi furono noiosi.

Jade mi mostrò ogni stanza dell'edificio e sapevo che non avrei ricordato tutti i posti perché non stavo prestando completamente attenzione.

Ballai quasi di gioia quando mi sedetti di nuovo sulla mia sedia.

Finalmente il tour era finito.

Essere in presenza di Jade risucchiava la poca felicità che mi era rimasta dentro.

Alle otto e cinquantacinque esatte, mi affrettai a prendere il tè del signor Campbell.

Feci una pausa, cercando di ricordare se mi avesse detto quanto zucchero voleva, o se non ne voleva affatto.

Corsi il grosso rischio di non mettere lo zucchero nel suo tè.

Questo poteva salvarmi o cacciarmi dall'azienda.

Quando mi concesse il permesso di entrare nel suo ufficio, lo feci con estrema calma, per la prima volta senza paura.

Tenni il tè davanti a lui in attesa che mi chiedesse di uscire.

Il signor Campbell si prese il suo tempo per finire quello che stava facendo al suo portatile prima di prendere il tè.

Sospirai di sollievo quando non iniziò a urlare per la mancanza di zucchero.

“Puoi andare”, disse, gelidamente.

Non mi aveva ancora guardata.

“Non c'è di che, signore”, dissi, girandomi per uscire dall'ufficio.

La sua voce mi ha impedito di muovermi.

“Cosa hai appena detto?” C'era incredulità nel suo tono mista a rabbia. Un'ondata di rabbia così terrificante che mi fece tremare le gambe.

“Stai usando del sarcasmo con me, signorina Hart?”

Scossi la testa, cercando di individuare il momento esatto in cui i miei sensi lasciarono il mio corpo.

Non ero sarcastica. Come potevo esserlo quando sapevo di avere un capo come lui?

Fu semplicemente l'istinto a farmelo dire.

“Mi dispiace, signore. Non volevo dire niente di male”. Avevo perso il conto di quante volte mi ero già dovuta scusare con lui da quando l'avevo incontrato la prima volta.

E qualcosa mi diceva che ce ne sarebbero state molte altre.

Strinse gli occhi, cercando di farmi crollare e di dimostrare che ero debole e non in grado di gestire la pressione.

Almeno, quello era quello che pensavo stesse cercando di fare.

“Puoi andare”.

Mi precipitai fuori di lì, respirando quando fui lontana dal suo sguardo fisso.

Udii una risatina bassa e mi girai verso il colpevole.

Un ragazzo alto e magro mi stava fissando, le sue labbra piegate in un sorriso.

Aveva i capelli corti e scuri ai lati e al centro erano un po' più lunghi e disordinati.

Quando vide che lo stavo guardando, si avvicinò.

“Congratulazioni”, disse la sua voce profonda con un accenno di ironia.

“Sei sopravvissuta a due visite nel suo ufficio. Dobbiamo festeggiare”.

Non potei fare a meno di sorridere.

Uno, perché sapevo che probabilmente stava dicendo la verità e due, perché mi resi già conto che mi sarebbe piaciuto. Era diverso da come lo vedevo io.

Facendo un piccolo inchino accompagnato da un'altra sua risatina, dissi: “Ti piacerebbe inciderlo su di una tazza e consegnarla alla mia scrivania?”

“Oh, astuta. Dirigerai la tua soddisfazione. Affare fatto”.

Allungai la mano verso di lui e il mio sorriso si allargò.

“Sono Lauren. Lauren Hart”.

Il ragazzo dai capelli rossi rilasciò una mano dalla sua tazza e scosse la testa.

“Piacere di conoscerti, Lauren. Io sono Aaron Hardy. È davvero bello vedere qualcuno uscire dall'ufficio del capo senza una lacrima”.

“Potresti dire che sono coraggiosa”.

Annuì, inclinando la testa dall'altra parte per studiarmi.

“O stupida. Perché hai accettato il lavoro?” chiese, e prima che potessi rispondere, mi interruppe con un'esclamazione. “Aha! Penso di aver capito”.

“È la busta paga, vero? È sempre la busta paga”.

Sgranai gli occhi. “Qualcosa del genere. Ho bisogno di soldi”.

“Ahh”.

“Sei terribilmente gentile con me. Com'è possibile? Tutti mi odiano o devono ancora odiarmi. Sono tutti così tesi”.

Rideva, le sue spalle tremavano. “Fidati di me quando dico che sono gelosi di te. Il signor Campbell non assume – scusa la scelta delle parole – qualcuno come te”.

“Gli piacciono i dipendenti di alta classe, persone che non metterebbero mai in imbarazzo la sua azienda. Ma loro pensano che tu possa essere speciale per lui”.

Sbuffai.

“Questo è stupido. Lui mi odia”.

“Ti odia tanto quanto odia tutti gli altri. Non è una cosa personale”.

“Mi chiedo perché”.

“E questo, mia cara Lauren, ce lo chiediamo tutti”, disse, facendomi l'occhiolino.

“Torniamo al lavoro prima che ci becchino e rischiamo di dover rimanere un'ora dopo la fine del turno”.

Feci un passo accanto a lui, sembrando sorpresa.

“Dici sul serio?”

“No”, rispose lui, evidenziando la “O”. “Non è poi così bastardo”.

Smisi di camminare, lanciandogli il mio peggior sguardo “Mi stai prendendo in giro”. Si voltò scrollando le spalle.

“Ok, forse è un bastardo”.

“Un bastardo di prima categoria devo ammettere”.

Qualcuno si schiarì la gola e io mi bloccai sotto shock, il mio cuore andò a 3.000 all'ora.

Furono le risatine di Aaron che sembrarono avermi fatto scattare la molla.

“Oh mio Dio”, raddoppiò la risata. “Avresti dovuto vedere la tua faccia. Pensavi fosse lui”.

“Non lo è?”

“No, ma dovresti fare attenzione a quello che dici”.

Una ragazza dai capelli verdi mi sorrise, facendo oscillare il suo braccio intorno al collo di Aaron.

“Questa è la nuova ragazza?”

Mi alzai in piedi, spingendo le spalle in alto e la fissai dritta negli occhi.

Lei ridacchiò.

“Dannazione, ragazza, non mordo”, disse, divertita dal fatto che io cercassi di mantenere la mia posizione.

Mi rilassai immediatamente, immaginando che non volesse farmi del male. Nessun segno di disprezzo. “Sono Athena”.

Alzai un sopracciglio.

Lei sorrise. “Mia madre è strana”.

“Lauren. Hai i capelli verdi e non sei stata licenziata”.

Sapevo per certo che Mason non avrebbe mai e poi mai assunto qualcuno con i capelli verdi.

“Questo perché non può licenziarmi. Sono sua zia”.

“Cosa?! Ma non sembri avere un giorno in più di…”

“23 anni?” Chiese Athena.

“Sì, me lo dicono spesso. Lui è più grande di me, ma io sono sua zia blah blah. Sua madre è la mia sorellastra”.

“Wow”. Doveva essere l'unica persona con cui lui sarebbe stato gentile.

Athena fissò la mia faccia stordita.

“Oh, tesoro, solo perché sono sua zia non vuol dire che non riceva anche io la sua merda”.

“Sì, ma tu sei l'unica persona che rispetta”, disse Aaron.

Scrollò le spalle come se non fosse un grosso problema. Non avevo mai pensato che il signor Campbell fosse capace di rispettare qualcuno.

Il suo enorme ego grande come il pianeta Terra non sarebbe stato in grado di gestire una cosa del genere.

Per un uomo che esigeva rispetto ovunque andasse, era una cosa strana da sentire.

“Torniamo al lavoro”.

Diedi una pacca sulla spalla ad Aaron prima di andare alla mia scrivania.

Mi aspettava una lunga e dolorosa giornata.

 

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