Alfa ribelli - Copertina

Alfa ribelli

Renee Rose

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Chapter
15
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18+

Summary

MIA DA PROTEGGERE. MIA DA PUNIRE. MIA.

Sono un lupo solitario, e mi va bene così. Bandito, dopo un bagno di sangue, dal branco in cui sono nato, non ho mai voluto una compagna.

Poi incontro Kylie. La mia tentazione. Finiamo intrappolati insieme in un ascensore, e un attacco di panico quasi la fa svenire tra le mie braccia. È una ragazza forte, ma spezzata. E nasconde qualcosa.

Il mio lupo vuole farla sua. Ma è umana, e la sua pelle delicata non sopravvivrebbe al morso di un lupo.

Sono troppo pericoloso. Dovrei starmene alla larga. Ma quando scopro che lei è la hacker che ha quasi fatto crollare la mia azienda, pretendo che si sottometta al mio castigo. E lei lo fa.

Kylie appartiene a me.

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165 Chapters

Capitolo Uno

Libro 1: Tentazione Alfa

CG: Catgirl è stata qui.

King1: Ti vedo.

CG: Bel codice.

King1: Ti finirò. Nessuna pietà per la gattina.

CG: Oooh, attento a come parli con me, tesoro.

—Conversazione tra l’hacker e Jackson King, CEO e fondatore di SeCure, 2009

***

Kylie

Benedetta ironia, Batman.

Da ragazzina, ho hackerato il sistema di una società e ho sventolato una virtuale bandiera di vittoria in faccia al CEO e fondatore dell’azienda. Nove anni dopo, sto per fare un colloquio per un lavoro qui. E non un lavoro qualsiasi. Infosec. In parole povere, sicurezza del sistema informatico. Se ottengo il posto, proteggerò la società contro gli hacker. Quelli come Catgirl, la mia vecchia identità su DefCon.

Quindi eccomi seduta qui, nella opulenta lobby della sede internazionale della SeCure, intenta a chiedermi se in qualche modo mi riconosceranno e mi faranno uscire di qui con le manette ai polsi.

Un gruppo di impiegati mi passa vicino. Ridono e parlano. Sembrano rilassati e felici, come se stessero andando in vacanza, non a sedersi alle loro scrivanie a farsi otto ore d’ufficio.

Cavolo, voglio questo lavoro.

Mi sono cambiata più o meno novantasette volte questa mattina, e di solito non mi interessa tanto quello che indosso. Ma questo è il colloquio della mia vita e curare ogni minimo dettaglio è stata come un’ossessione. Alla fine ho scelto un completo nero lucido con gonna corta a tubino e giacchetta abbinata. Ho optato per niente calze – gambe nude – ma ho infilato ai piedi un paio di scarpe sexy con i tacchi alti.

Sotto alla giacca del completo ho messo la mia maglietta preferita da Batgirl. Mi sta attillata attorno ai seni e il pipistrello rosa shocking con gli strass si incunea perfettamente tra i risvolti del giacchino.

La combinazione grida ‘genio informatico giovane, bella e trendy’, mentre il completo in sé si attiene all’aspetto più conservatore dell’ambiente aziendale. Ero incerta tra tacchi o sneakers, ma alla fine hanno vinto i tacchi. Che è terribile, perché quando Stu, il mio contatto, scende da me, mi devo alzare con questi ai piedi. E camminarci.

Se la me-hacker-adolescente mi vedesse adesso, mi riderebbe in faccia e mi darebbe della “venduta”. Ma anche lei era ossessionata come me dal fondatore/proprietario miliardario della SeCure, Jackson King. Un’ossessione che si è trasformata in ammirazione, con una buona dose di attrazione sessuale.

Ok, è una cotta. Ma avere una cotta per Jackson è giustificabile al cento per cento. Filantropo miliardario, non smette mai di impressionare. Per non parlare di quanto è sexy. Soprattutto per una ‘geek’, fanatica della tecnologia informatica.

E quell’unico momento che abbiamo condiviso – il momento in cui sono riuscita a bypassare tutte le sue misure di sicurezza e mi sono trovata faccia a faccia con lui – beh, cursore a cursore – è impresso nella mia memoria come l’incontro più eccitante della mia gioventù. Non gli ho rubato niente. Volevo semplicemente vedere se ero capace di entrare, decifrare il codice. Quando mi ha trovata, mi sono ritirata e non mi sono mai più arrischiata a tornarci.

Ora potrei avere la possibilità di un altro cyber-incontro con King, e il pensiero mi emoziona.

Soprattutto considerato che questa volta le mie azioni non sarebbero illegali.

“Signorina McDaniel?”

Scatto in piedi, la mano già testa, pronta a stringere la sua. Oscillo solo un pelo sui tacchi. “Ciao.” Cavolo, sembro senza fiato. Mi sforzo di tenere le spalle basse e sorrido mentre mi aggrappo alla mano offerta.

“Ciao, sono Stu Daniel, manager infosec qui alla SeCure.” Sembra un nerd come si deve: occhiali, camicia ben abbottonata, pantaloni. Trent’anni o giù di lì. I suoi occhi scattano sul pipistrello rosa che ho in mezzo alle tette e poi si rialzano. Forse la maglietta è stata uno sbaglio.

Continuo a stringergli la mano, probabilmente troppo a lungo. Ho letto cinque libri di tecniche aziendali per prepararmi a oggi, ma non ricordo cosa dicesse Colloqui per principianti riguardo all’adeguata durata di una stretta di mano. “Piacere di conoscerti.”

Per fortuna Stu è imbarazzato quanto me. I suoi occhi continuano a scivolare verso il basso. Non come quelli di un pervertito, ma piuttosto di uno troppo timido per mantenere il contatto visivo. “Se mi vuoi seguire, andiamo al sesto piano per il colloquio.”

In aggiunta all’invalicabile sicurezza tecnologica, la fortezza della SeCure è ben protetta anche fisicamente. Quando sono entrata, calpestando i pavimenti in marmo scintillante, e mi sono registrata al banco della reception, mi hanno detto di aspettare nella lobby per ‘essere accompagnata’ al mio colloquio.

Seguo il mio accompagnatore. “Che meraviglioso edificio avete qui.”

Ok, commento fiacco. Faccio schifo con le chiacchiere di circostanza. Cioè, davvero schifo. Forse non avrei dovuto passare gli ultimi otto anni a nascondermi da ogni interazione sociale. I fanatici informatici non dovrebbero fare gli stessi colloqui della gente normale. Dovrebbero somministrargli un test, o ancora meglio fargli hackerare qualcosa. Ma probabilmente la SeCure già conosce le mie abilità nel crackare codici, o così ha detto la reclutatrice di personale. Mi è quasi andato il caffè di traverso quando mi ha chiamato, così dal nulla. Ho pensato fosse uno scherzo di uno dei miei vecchi compatrioti online, quelli del Clean Clan. E invece no, era tutto vero.

E poi, le possibilità che qualcuno della mia vecchia cerchia mi trovi adesso sono davvero misere. O almeno lo spero.

Stu mi fa strada fino agli ascensori e preme la freccia che punta in alto. Le porte di un ascensore si aprono, mostrando un uomo con indosso un completo elegante, la testa china sul suo telefono. Alto e con le spalle larghe, occupa buona parte della cabina. Senza sollevare lo sguardo, si sposta un po’ più di lato per farci spazio.

Stu mi lascia entrare per prima e io tengo a bada il panico. È un ascensore piccolo, ma non piccolissimo. Ce la posso fare. Se mi daranno il lavoro, poi scoprirò dove sono le scale.

Mi concentro sui pulsanti luminosi e spero che sia un giro veloce.

Prima che il mio accompagnatore possa salire, una voce lo chiama per nome.

“Un secondo,” dice Stu mentre una giovane donna gli si avvicina di corsa, seguita da altre due persone. “Stu, il server Galileo si è bloccato stamattina…”

Ottimo. Proprio quello che mi serve: un po’ di tempo in più nell’ascensore. Deglutisco, ignorando il formicolio che avverto sulla pelle. Un attacco di panico non darebbe una buona impressione.

Stu toglie il piede dalla porta mentre la donna apre il suo portatile per mostrargli qualcosa.

Le porte si chiudono e l’ascensore sale. Così, di punto in bianco, ho perso il mio accompagnatore. Alla faccia della sicurezza.

Premo il pulsante numero sei. So dove devo andare. Prima riesco a uscire da questa minuscola scatola della morte e meglio è.

Siamo a metà tragitto, quando le luci lampeggiano. Una volta, due volte, poi si spengono.

“Ma che…” Mi interrompo per concentrarmi sul respiro. Ho un lasco di dieci secondi prima di dare di matto.

Il colletto bianco accanto a me borbotta qualcosa. La luce del suo telefono getta un’inquietante luce blu sulle pareti.

Il motore dell’ascensore si ferma.

Oh no. Eccolo che arriva. Il cuore mi batte forte nel petto, i polmoni annaspano per raccogliere aria.

Fermo, dico al mio panico. Non è niente. L’ascensore riprenderà a salire tra un secondo. Non siamo bloccati qui.

Il mio corpo non mi crede. Mi si stringe lo stomaco, la pelle diventa sudaticcia. Tutto diventa buio. Anche la mia vista si è annebbiata. Il tipo si è appena messo il telefono all’orecchio. Oscillo sui piedi.

L’uomo impreca. “Non prende qua dentro.”

Il tacco ruota sotto di me e io mi aggrappo al corrimano, il respiro che esce ansimante e a intermittenza.

“Ehi.” Il tipo ha una voce perfettamente abbinata alle sue grandi dimensioni: profonda e risonante. In altre circostanze, la troverei sexy. “Hai paura?” Leggero sdegno nel suo tono.

Non è colpa mia, amico. “Già.” Riesco a tirare fuori la parola a fatica, ed esce come uno sbuffo. La mia stretta sul corrimano si fa ancora di più salda.

Resta in piedi. Non svenire, non ora. Non qui.

“Non mi piacciono i posti piccoli.” Eufemismo dell’anno.

L’ascensore si è appena mosso? O il mio corpo è in preda a un capogiro incontrollato? Il vecchio panico mi afferra. Morirò qua dentro. Non ne verrò mai fuori.

Due grosse mani mi spingono contro la parete dell’ascensore, tenendomi ferma con la pressione sullo sterno. “Co-cosa sta facendo?” dico con voce ansante.

“Innesco il tuo riflesso della calma.” Sembra tranquillo, come se fosse abituato a spingere ragazze in iperventilazione su per il muro tutti i giorni. “Sta funzionando?”

“Sì. Essere palpata da uno sconosciuto mi rilassa sempre.” Avevo giurato di tenere a freno il mio sarcasmo fino a che non avessi ottenuto questo lavoro, ma eccolo qua che schizza fuori. È questo che succede a una ragazza che si trova sul punto di svenire.

“Non ti sto palpando,” dice l’uomo.

“Lo dicono tutti,” mormoro.

La sua risata si interrompe sul nascere. Come se non avesse voluto lasciarsela scappare.

Chi è questo tizio?

Il battito del mio cuore rallenta, ma la testa mi gira ancora. Non ho mai avuto un uomo così vicino a me prima d’ora. Figurarsi uno che mi tocca. Pochi centimetri più in là e mi prenderebbe i seni tra le mani.

Beh, questo è un pensiero interessante. Mi sento scorrere dentro delle sensazioni che non ho mai provato prima, fuori dalla privacy della mia camera da letto. Sono scossa da un brivido.

“Non che mi dia fastidio se mi palpi,” farfuglio. “Penso solo che prima dovresti pagarmi la cena…”

Le sue mani si staccano così velocemente dal mio sterno che io barcollo in avanti. Prima che possa cadere, lui mi prende per le spalle e mi fa girare. Chiude le sue braccia attorno a me da dietro, facendo di nuovo pressione contro il mio sterno.

“E così com’è?” Sembra divertito. “Meglio? Non voglio che la mia buona azione venga denunciata come accusa di molestia sessuale.”

Dio, la sua voce. Le sue labbra sono proprio accanto al mio orecchio. Non sta tentando di sedurmi ma, oh cavolo, solo le parole ‘molestia sessuale’ mi mandano il corpo in fiamme.

“Scusa.” La voce mi si strozza un po’. “Non volevo accusarti. Quello che volevo dire era… grazie.”

Per un momento non si muove e io respiro tra le sue mani solide che mi cingono, mi proteggono, mi tengono al sicuro. E tutto quello che mi viene in mente è… cavolo. Pensavo che un attacco di panico sarebbe stata una brutta cosa. Ora mi trovo bloccata in un ascensore, tra le braccia di un completo sconosciuto. Del. Tutto. Eccitata. È come se il mio sesso, in mezzo alle gambe, fosse scollegato dal resto del corpo. Il resto di me sta vorticando all’impazzata, contorcendomi le mani per la preoccupazione. Ma la mia fica pensa che essere malmenata da uno sconosciuto in un ascensore buio sia un’ottima ragione per eccitarsi.

“Faresti bene a sederti.”

A quanto pare non ho scelta, perché lui mi fa abbassare a terra con pressione ferma e inesorabile. Una volta arrivata giù, mi mette comoda contro la parete, le mani decise ma delicate che mi manovrano come fossi una bambola. Parole affilate stanno danzando sulla punta della mia lingua – Sono una cazzuta donna adulta, non Barbie – ma effettivamente si sta bene seduti. Nonostante si comporti come un uomo delle caverne, si sta prendendo cura di me. Quasi sento la mancanza delle sue mani sul mio sterno.

“Dove hai imparato questa roba?” chiedo per distrarmi dal fatto che sono intrappolata in uno stretto spazio rettangolare con un tipo che non ha inibizioni a mettermi le mani dappertutto. Anch’io sono totalmente disinibita al riguardo, anche se vorrei ricordarmi il suo aspetto. Tutto quello che mi resta è la vaga impressione di una mascella robusta e un’espressione di impazienza in volto. Ero troppo impegnata a prepararmi per l’ascensore per badare a lui.

“Anni e anni di pratica nel terrorizzare donne in luoghi bui.”

Ah. Uno spirito arguto come me. Anime gemelle. Adesso mi piace ancora di più. “Grazie,” dico dopo un momento.

Lui mi si siede accanto, la giacca del suo completo che struscia contro la mia. “Sei ancora terrorizzata.”

“Sì, ma va meglio. Parlare sarà di aiuto. Possiamo parlare?”

“Ok.” Simula un accento tedesco per assomigliare a Freud. “Qvando hha notato la pvima folta qvesto pvoblema?”

***

Jackson

La risata della bellissima femmina arriva fortissimo e le va quasi di traverso. Poi continua a ridacchiare un momento, in un modo un po’ isterico. Bollicine di riso continuano ad affiorare in superficie ogni volta che tenta di parlare. Alla fine si schiarisce la gola e dice: “Intendo dire, parlare per distrarmi. Parlare di qualcos’altro.”

Io non scherzo mai – soprattutto al lavoro – ma la morettina tutta gambe con la gonna corta e stretta mette in allerta il mio corpo in un modo fin troppo piacevole. Ora che non la sto toccando, va meglio. Quando ero a contatto con lei, prima, l’elettricità tra noi mi ha quasi incendiato la pelle. Il prurito e il bruciore del mutamento mi hanno assalito velocemente come capita a un adolescente nel pieno della pubertà, quando sta da poco imparando a trasformarsi. Sono stato a un passo dall’aprirle le gambe, tirare su quella sua minuscola gonnellina e farla mia.

A dire il vero i miei sensi da lupo sono andati in tilt nel momento in cui è entrata in ascensore. Il meglio che ho potuto fare è stato rimanere in silenzio e osservarla. Il suo odore mi inebria, come una specie di fiore esotico che implora di essere colto, solo che in forma decisamente umana. Non ha per niente senso. Non c’è motivo per cui dovrei sentirmi attratto da lei, a parte il fatto che è meravigliosa. Non sono mai stato attratto da un’umana prima d’ora. Diamine, ho fatto fatica a provare attrazione anche per una donna lupo, addirittura con la luna piena.

A peggiorare le cose, lei si è eccitata quando l’ho toccata: l’odore del suo nettare riempie questo spazio ristretto. Per la prima volta in vita mia, le mie zanne si sono affilate, gocciolanti di siero, pronte ad affondare nella sua pelle e marchiarla per sempre come mia.

Ma è una follia. Non posso marchiare un’umana: non sopravvivrebbe. Questa umana, per quanto sia bellissima, non può essere la mia compagna.

La guardo da testa a piedi, in netto vantaggio, dato che io posso vedere al buio e lei no. È stupefacente in tutto e per tutto: gambe lunghe e tornite, un culo che riempie perfettamente quella sua gonnellina, e tette da Batgirl. Cioè, ha un pipistrello rosa shocking davanti, sulla maglietta, proprio sopra un paio di tette sode. E qualcosa in quel pipistrello mi dà alla testa. Una piccola intrepida supereroina che implora di essere sfidata.

Immagino che questo renda me il cattivo della situazione.

“Come ti chiami?” mi chiede.

Esito. “J.T.”

“Io sono Kylie. Sono qui per un colloquio, quindi ero tutta pronta per cominciare.”

Non faccio mai l’amicone. Scoraggio i miei dipendenti dall’intrattenersi con me, eccetto per darmi informazioni, e pretendo che lo facciano in modo molto sintetico. Ma per qualche motivo, il suo fiacco tentativo di intavolare una conversazione non mi infastidisce. Il che significa che mi degno di rispondere.

Sono troppo impegnato a convincere il mio lupo a non saltarle addosso.

Lei ci riprova. “In che reparto sei?”

Non intendo ammettere che sono il CEO. “Marketing.” Impregno la parola di tutto il disgusto che il marketing mi ispira. È vero che ora passo la maggior parte del mio tempo tra marketing e gestione, quando invece preferirei molto di più programmare, e non dover mai interagire faccia a faccia con qualcuno.

Lei ride, un suono dolce e un po’ roco. Nonostante non mi possa vedere, scruta nella mia direzione con espressione affascinata in volto. I suoi capelli, di un castano lucido e denso, le ricadono in onde sciolte e morbide sulle spalle. È troppo buio per poter distinguere il colore dei suoi occhi, ma le sue labbra carnose sono lucide e il modo in cui adesso si dischiudono un po’ mi fa venire voglia di reclamare quella bocca sensuale.

“Uno di quelli, eh? Che tristezza.”

Sorrido, una cosa che mi capita di rado. Mi ha già fatto ridere, e non mi succedeva da vent’anni.

“Per che posizione fai il colloquio?”

“Infosec.”

Sexy e nerd. Interessante. Deve avere doti straordinarie per essere riuscita a ottenere un colloquio. La mia società è la migliore al mondo nel campo della sicurezza informatica. “Hai molta esperienza nel settore?”

“Un po’.” Sembra evasiva in un modo che mi fa pensare che sappia effettivamente il fatto suo.

La corrente manca da parecchio, almeno dieci minuti. Prendo il telefono dalla tasca e cerco di digitare di nuovo il numero della mia segretaria, ma ancora non c’è segnale.

“Per quanto pensi che resteremo bloccati qua dentro?” La sua voce trema sulla parola bloccati.

Santi numi, non ho mai provato un impulso così forte a prendere la mano di una donna prima d’ora. Il colletto della camicia è troppo stretto. Che diavolo, avrei voluto non essermi messo in giacca e cravatta. Ovviamente è la cosa che mi dico ogni santo giorno, ma è raro che abbia scelta, anche se è la mia dannata società. Quando abbiamo raggiunto un certo livello mi sono dovuto adeguare al dress code aziendale americano per le riunioni esterne, addirittura a Tucson, ambiente notoriamente rilassato in materia di abbigliamento.

La mia piccola programmatrice, però, ha beccato l’outfit corretto: il giusto miscuglio di hipster – con il pipistrello sulle tette e le gambe nude – e aziendale – con il completo in giacca e i tacchi. Non so quando ho iniziato a pensare a lei come la mia piccola qualcosa, ma è successo. Nel momento in cui è entrata in ascensore e ho inalato il suo odore, il mio lupo ha gridato: mia.

“Cioè, pensi che ci vorranno ore? Non passeranno delle ore, giusto?” Sta perdendo di nuovo il fiato. Mi trattengo dal non tirarmela addosso, facendola sedere sulle mie gambe e cullandola tra le braccia fino a che non smetterà di tremare.

“Non spingermi a palparti un’altra volta.” Ok, non avrei dovuto dirlo, anche se è stata lei a dirlo per prima. Però il commento ha l’effetto desiderato.

Lei sbuffa, cosa che modifica lo schema della sua respirazione e la aiuta a calmarsi.

“Quindi sei nervosa per il colloquio?” le chiedo. Le chiacchiere non fanno parte del mio repertorio, ma pare che potrei fare qualsiasi cosa per tentare di calmarla. O forse voglio solo risentire la sua voce. “Non sembri nervosa.”

“A parte l’attacco di panico, per distrarmi dal quale stai facendo un lavoro eccellente?”

Il mio lupo gongola per quel complimento.

“Ti rivelo un segreto,” dice, e i muscoli del mio ventre si tendono quasi dolorosamente sentendo la sua voce suadente. Senza neanche rendersene conto mi sta ammaliando.

Forse, parlare è una cattiva idea.

“Ok,” rispondo.

“Non ho mai avuto un vero lavoro prima d’ora. Cioè, adesso ho un posto, ma è tutto lavoro online. Non sono mai stata in un ufficio come questo.”

“Pensi di poterlo fare?”

“Sai, cinque anni fa avrei vomitato al solo pensiero. Ma a dire il vero, la SeCure è l’unica e sola società per la quale metterei un completo con i tacchi.”

E ogni maschio nell’edificio ringrazia Dio perché l’ha fatto. “Come mai?”

“La SeCure rappresenta il culmine dell’infosec. Cioè, Jackson King è un genio. Lo seguo da quando avevo dieci anni.”

Cerco di impedire al mio lupo di tirarsela troppo. “Sei sicura di voler lasciare la comodità del pigiama a casa e venire in ufficio tutti i giorni?”

“Sì. Sarebbe bello avere un motivo per uscire di casa. Programmare può farti sentire solo. Voglio dire, io lavoro al meglio da sola, ma penso possa essere carino avere attorno gente come me. Magari trovare la mia tribù. Sentirsi normali, capisci?”

Non capisco. Io non ho una tribù da quando ho abbandonato il mio branco natale con la pelliccia zuppa del sangue del mio patrigno.

Una società piena di umani è un misero surrogato.

“Se fai un colloquio qui per la sicurezza, devi avere talento,” le dico per distrarmi dai brutti ricordi.

“Mi occupo di codici da quando ero ragazza,” dice lei con tono modesto, cosa che mi fa nuovamente pensare che stia sminuendo il suo talento. “Essere un’adolescente ‘geek’ mi ha decisamente tolto di dosso l’etichetta di normale.”

“La normalità è sopravvalutata. Devi solo trovare il tuo branco.”

“Branco?”

“Volevo dire tribù.”

“No, branco mi piace. Mi fa sentire un lupo solitario.” C’è la vena di un sorriso nella sua voce, e io ricaccio indietro un commento tagliente. Essere un lupo solitario non è fico come sembra. Anche se è tutto quello che mi merito.

“Quindi…” Ha il tono di qualcuno che fino ad ora ha aspettato il momento di chiedere qualcosa. “Hai mai incontrato Jackson King?”

Nascondo un sorriso, anche se lei non può vederlo. “Uhm. Un paio di volte, sì.”

“Com’è?”

Scrollo le spalle nel buio. “Difficile a dirsi.”

“Difficile a dirsi perché non lascia trasparire molto?”

Tengo la bocca chiusa.

“Questo è quello che ho sentito dire. Allora, è un fanatico dell’informatica del genere strambo o inquietante?”

Non ero a conoscenza delle diverse categorie di fanatici del computer. Non mi considero un geek, però, in quanto mutante, non mi includo in nessuna categoria umana.

“Mi verrebbe da dire del genere inquietante,” prosegue lei. “Perché nessun uomo così sexy dovrebbe essere tanto asociale. Cioè, deve avere delle pecche davvero serie. Secondi i pettegolezzi, quell’uomo non frequenta mai nessuna donna. Si dice anche che non abbia un briciolo di vita sociale. Non esce mai. Un recluso totale. Deve avere dei problemi. Oppure è gay. Scommetto che è tipo da tenere il suo partner legato nell’armadio, per poi frustarlo quando torna a casa la sera.”

Di nuovo, quasi mi sfugge un sorriso. Frustate. Ti faccio vedere io, piccola Batgirl. “Pare che tu sappia un sacco di lui.”

“Oh… io, ehm… immagino che mi interessi. Diciamo che è una celebrità tra i seguaci della tecnologia. Cioè, la sua codificazione originale è stata roba da geni, soprattutto per l’epoca.”

Questa volta sorrido sul serio. La valutazione che ha dato di me, tolta la parte del gay che frusta il suo partner, mi fa accelerare i battiti del cuore. Un’altra anomalia. A me non interessano le attenzioni. E lei ha ragione: non rilascio mai informazioni personali. Ho segreti troppo grossi da nascondere. Ma il suo interesse per me sta facendo fare le capriole al mio lupo.

Mia.

“Allora tu che genere di geek sei?” le chiedo.

“A quanto pare il genere che blatera come una idiota con un uomo che non conosce, quando si trova confinata in un ascensore. Ma sono sicura che questo l’hai già dedotto. Scusa, in genere ho un filtro migliore della media. È una buona cosa che non possiamo vederci, perché questa mattina mi sono decisamente messa in imbarazzo.”

Trattenermi dal baciarla fino a levarle il fiato sta diventando sempre più difficile. Non sono mai stato più felice di starmene seduto a sentire blaterare un essere umano. Il mio lupo non è neanche innervosito per essere costretto a restare confinato da oltre dieci minuti. Di solito ringhierebbe per liberarsi e aggredire la minaccia. Cosa che si potrebbe rivelare letale.

Il mio lupo sembra più interessato a proteggere questa adorabile umana piena di vita. Mi ci è voluto un po’ per rendermene conto, ma ora che l’ho capito, il mio battito accelera e devo sforzarmi di non cingerle le spalle con un braccio. Tirarla a me. Soprattutto quando lei mi si appoggia contro.

“Magari potresti promettere di non guardarmi quando le luci torneranno, così magari potremmo conoscerci un’altra volta in circostanze normali.”

Non le rispondo.

“Spero solo di non mettermi a blaterare in questo modo durante il colloquio mandando tutto all’aria.”

“Vuoi davvero questo lavoro?”

“Sì. Lo voglio. È strano, perché otto anni fa ti avrei riso in faccia se mi avessi detto che un giorno avrei voluto lavorare per la SeCure, ma credo di essere cambiata. Per me, Jackson King e l’azienda che ha costruito rappresentano il massimo in materia di codifica di sicurezza, e voglio esserne parte.”

Le luci si accendono e l’ascensore si rimette in moto. Dannazione.

“Oh, grazie a Dio,” dice. Respira e si rimette in piedi.

Seguo il suo esempio e mi alzo a mia volta.

Quando si gira per guardarmi, il sorriso sul suo volto si pietrifica.

Sorpresa.

Lei sbianca e barcolla indietro.

La luce illumina la sua bellezza. Pelle perfetta. Labbra piene. Occhi grandi. Zigomi alti. E, sì… tette e gambe sono belle come sembravano al buio. Le darei dieci a trecentosessanta gradi. E ha capito chi sono, il che mette il vantaggio dalla mia parte.

“Beh, ora sei zitta.”

“J.T.,” mormora lei con tono amareggiato. Mi lancia un’occhiataccia, come se fossi stato io a sparlare di lei e non piuttosto il contrario. “Per cosa sta la T?”

“Thomas.” Mia madre mi ha dato un nome decisamente umano.

L’ascensore si ferma al sesto piano e le porte si aprono. Lei non si muove.

Le tengo ferme con la mano e le faccio segno di uscire. “Credo che questo sia il tuo piano.”

Apre la bocca, ma poi la richiude di scatto. Allarga le spalle e mi passa oltre a grandi passi, due vividi cerchi color porpora sulle guance. Adorabile.

Anche se sono in ritardo per almeno venti riunioni, la seguo. Non perché il mio corpo non possa separarsi dal suo. Certamente non perché devo saperne di più sul suo conto. Solo per tormentarla un po’ di più con la mia presenza, ora che sa chi sono.

“Signorina McDaniel, eccoti qua,” dice Stu. Sta aspettando davanti agli ascensori. Deve aver preso le scale. Luis, il capo della sicurezza della SeCure, è accanto a lui.

“Manderemo subito quassù quelli della manutenzione, signor King,” dice Luis indicando uno dei suoi uomini, che prende posto all’ascensore e impedisce a chiunque altro di salirci. “Sistemeremo tutto in un batter d’occhio, signore. E vedo che ha accompagnato la signorina McDaniel.”

Stu mi guarda con occhi colpevoli. “Non intendevo lasciarla da sola in questo modo. Ho preso le scale per accertarmi di essere qui quando fosse arrivata.” Lo dice come se si sentisse meritevole di una medaglia per le sue gesta eroiche.

Io non rispondo.

“Da qui me ne occupo io. Mi scusi se l’abbiamo disturbata.”

“Intendo partecipare al suo colloquio,” dico, sorprendendo addirittura me stesso.

Sia la testa di Stu che quella di Kylie si girano di scatto verso di me. Mi guardano a bocca aperta. Kylie arrossisce ancora di più e sbatte le palpebre sui suoi grandi occhi castani. Alla luce, sono di un bel colore marrone-cioccolato, caldi, con una spruzzatina di oro nel mezzo. Incredibili.

L’alfa che è in me non ha problemi nei confronti del suo disagio. Sono abituato a mettere la gente in imbarazzo. Ma il mio lupo non è contento della sfumatura di rabbia che tinge il suo odore. Ho pronte sulle labbra delle scuse: un’altra prima volta per me. Jackson King non chiede scusa. E non gliene devo neanche una, poi. Se dovessi fare a modo mio, la trascinerei nella prima sala conferenze a portata di mano, le schiaffeggerei il culo per quel commento sul gay che frusta il suo partner e passerei le tre ore successive a insegnarle a godere solo con la punta della mia lingua. Gliela leccherei fino a farla gridare di piacere, facendo capire a tutti nell’edificio che lei è mia. Questo placherebbe di sicuro il suo fastidio, o nervosismo. O è forse eccitazione?

“Oh, è solo un colloquio di routine, non c’è bisogno che lei metta a disposizione il suo tempo,” dice Stu.

Che io sia dannato se permetterò a Stu – o a qualsiasi altro maschio – di tenersela per sé da solo.

Luis si schiarisce la gola, avvisando Stu che è a un millimetro dal farmi incazzare.

Io socchiudo gli occhi guardandolo. “Decido io come passare il mio tempo. Vogliamo entrare nella sala conferenze, o le facciamo il colloquio qui in corridoio?”

Stu si acciglia, come se avessi appena mandato all’aria la sua festa tra amici.

***

Kylie

Benedetto imbarazzo, Batman. Alla faccia del colloquio da dieci e lode. Non avrei mai pensato che potesse andare così male, ma trovarsi in mezzo a un tiro alla fune tra Stu e Jackson è un altro prezioso momento di questa giornata merdavigliosa. Non posso credere di avere appena avuto un crollo davanti a Jackson King. E ho spiattellato tutto come una scolaretta su che tipo di nerd è, e se è gay, e… oh santo Dio, ho davvero insinuato che forse frusta i suoi partner sessuali? Ma che cazzo di problemi ho? Neanche Colloqui per principianti può salvarmi adesso.

Ovviamente lui ha pensato bene di non dirmi che era il CEO. Una mossa da stronzo, davvero. Dovrei fulminarlo con lo sguardo, ma no. Sono ancora confusa dal contatto fisico con lui. Peccato che farsi palpeggiare da Jackson King non sia uno degli extra del lavoro.

Dannazione, lo voglio davvero tanto questo posto. Palpata a parte, la SeCure è l’apice della cyber-sicurezza. Da adolescente era il massimo per un hacker. Dopo quasi dieci anni passati a nascondermi, mi sembra di essere tornata a casa. Come se per tutta la vita mi fossi allenata per venire qui. E ora che ne ho ottenuto il diritto, posso accedere al mio legittimo posto.

Il fatto che lavorerei sotto Jackson King non ha niente a che vedere con tutto questo. Beh, magari per un microscopico briciolino. Il mio corpo di certo gradirebbe stare sotto di lui. Proprio adesso. Signore mio, devo passare questo colloquio senza immaginare le sue mani su di me…

L’occhiata letale tra Stu e Jackson è durata già abbastanza.

“Dov’è la sala conferenze?” chiedo con voce cinguettante. Faccio diversi respiri profondi e seguo Stu in una grande stanza. Ce la posso fare. Ho gestito cose molto più difficili: importanti rapine all’età di dodici anni, la perdita di mamma e papà, restare intrappolata in un condotto d’areazione per dieci ore… Questo è niente. Un banale colloquio.

Mi siedo e i tre uomini prendono posto di fronte a me. Le sedie sono grandi e comode, ma il corpo muscoloso di Jackson ci sta a malapena. Ruota un po’, mi punta gli occhi addosso. Quell’uomo ti mette soggezione anche da seduto.

Mi concedo di aggrottare leggermente la fronte mentre ricambio l’occhiata. Mi ha mentito. E ora mi sta facendo fare questo colloquio in sua presenza, come se questa giornata potesse diventare ancora più complicata.

Reagisce al mio cipiglio inarcando le sopracciglia.

Perché, cavolo, perché mai ho detto tutte quelle cose nell’ascensore? È stato come se avessi mandato giù del siero della verità.

Forse è uno dei superpoteri di Jackson: indurre la gente a dirgli ogni pensiero che passa per le loro teste. In vita mia, non sono mai stata tanto vera con nessuno. Ho raccontato milioni di bugie, ma un pizzico di tranquillità dopo un attacco di panico, e tutto il mio allenamento scompare all’istante. Mio padre mi farebbe una ramanzina, se fosse ancora vivo.

Stu sfoglia alcune carte e ne passa una al signor King. “Ecco il suo curriculum,” dice. “Come vede, le sue qualifiche sono piuttosto impressionanti.”

Stu ha chiaramente sopravvalutato il mio curriculum. Certo, sono uscita con il massimo dei voti e la lode laureandomi in informatica a Georgetown – dopo averli convinti a seguire tutte le lezioni online – ma la mia esperienza lavorativa è limitata alla stesura di codici per la società di gioco per la quale lavoro attualmente. Almeno l’unica esperienza lavorativa che si possa considerare legale. C’è un sacco di roba che non posso dire. Il risultato: sulla carta non appaio così notevole.

“Tutti i suoi professori le hanno fornito raccomandazioni entusiaste,” prosegue. Sembra un po’ nervoso.

Neanche la metà di quanto sono nervosa io, comunque. E il fatto che Jackson King mi stia scrutando come se conoscesse tutti i miei segreti certo non aiuta. Questa è davvero un’idea spaventosa, adesso che ci penso.

“Vuole iniziare lei?” chiede Luis a King.

King si appoggia allo schienale e incrocia le sue gambe lunghe ed eleganti. Dannazione. Ho sempre sbavato sulle sue foto online, ma di persona è ancora più affascinante. Le foto non gli rendono giustizia – neanche quelle su Time Magazine quando è stato nominato ‘Uomo dell’anno’ per aver risolto un problema di frode di carte di credito su scala mondiale. Niente di lui dice che sia un ‘geek’, in effetti. Con folti capelli scuri, tenuti un po’ lunghetti, barba accennata, mascella squadrata e occhi verde-giada: sembra l’immagine della virilità. Emana anche una certa aria di pericolo, il suo potere appena contenuto dall’abito costoso che indossa.

Si volta a guardarmi ancora, il viso impassibile come una maschera inscrutabile. “Cosa sai di infosec, Kylie?”

Incrocio le dita sul tavolo. Non ha senso essere nervosa. Ho già mandato all’aria ogni possibilità che avevo di ottenere questo lavoro quando in ascensore l’ho definito un sociopatico malato. Probabilmente vuole solo la vendetta, e costringermi a sopportare il colloquio più imbarazzante nella storia è di certo uno dei suoi metodi di tortura preferiti.

Vaffanculo. Il lavoro non l’avrò. Perché restare e soffrire?

Spingo indietro la sedia e mi alzo in piedi. “Sapete una cosa? Non penso sia una buona idea.”

Stu scatta in piedi, lo sguardo arrabbiato. “Perché no? Aspetta un minuto.”

“Scusatemi se vi ho fatto sprecare del tempo.”

Stu si mette tra me e la porta, come se non avesse la minima intenzione di lasciarmi andare. Probabilmente c’è di mezzo il suo lavoro, se non riuscirà a riempire questa posizione. Non è un problema mio, amico. Cosa intende fare? Placcarmi se tentassi di lanciarmi fuori?

“A dire il vero, penso di essermi fottuta questo colloquio nell’ascensore. Quindi vedo di andarmene e basta. Grazie…”

“Si sieda, signorina McDaniel,” ordina King, la voce profonda e sonante, forte e dura come l’acciaio.

Mi immobilizzo. Dannazione, è ancora più sexy quando fa il severo. Come nell’ascensore, il mio corpo reagisce: i capezzoli si fanno duri e ho improvvisamente la passera fradicia.

Lo vedo dilatare le narici come se ne sentisse l’odore. Ma è ridicolo. È sempre seduto, ma non ci sono dubbi su chi detenga il potere in questa stanza.

Torno alla mia sedia, un po’ barcollante. E non solo per i tacchi. “Sì, signore.” E sprofondo nuovamente seduta.

“Grazie. Ho fatto una domanda, e mi aspetto una risposta.”

Maledetto. È determinato a farmi soffrire. Mi strofino l’unghia del pollice con il polpastrello dell’indice e poi lascio cadere le mani in grembo per smettere di torturarmele.

“Signor King, mi scuso per le cose che ho detto su di lei in ascensore. Sono stata molto maleducata e irrispettosa.”

L’espressione di King non cambia. Mi guarda con freddo occhio calcolatore. “Rispondi alla domanda.”

Vaaa bene. Immagino che intenda ignorare le mie scuse. Combatterei con il mio sarcasmo, ma avevo promesso a me stessa che ci avrei tenuto un coperchio sopra. “La mia conoscenza nel campo della sicurezza informatica è per lo più pratica. Non lo vedrà nel mio curriculum, ma conosco molto bene tutte le aree della sicurezza: come valutare i punti deboli, come mascherare un codice. Nessun codice è impenetrabile, se non forse il vostro.”

“Quanto tempo ti ci vorrebbe per hackerare l’account Gmail di una persona media?”

Permetto a un sorrisino di curvarmi le labbra. “Sarebbe illegale, signor King.”

“Quindi sai o non sai come hackerare?”

Lui sa. Questo è il mio primo pensiero. Mi muovo sulla mia sedia. Ha capito che sono Catgirl. No, è una stupidaggine. Tutti i professionisti dell’infosec probabilmente sono degli hacker. Magari è un pre-requisito. Come le società della sicurezza che assumono ladri presi con le mani nel sacco per migliorare i loro sistemi.

Non che una società addetta alla sicurezza – fisica o virtuale – sia mai riuscita a tenermi fuori. Anche se le mie abilità potrebbero essersi arrugginite. Le mie giornate passate a fare il topo d’appartamento sono morte con mio padre.

“Se fossi una hacker, signor King, di certo non lo ammetterei qui. È lo stesso motivo per cui lei non potrà vederlo su carta. Ma se, teoricamente parlando, volessi accedere all’account Gmail di una persona media, penso che mi servirebbero dai dieci ai venti minuti.”

Stu mi sorride a labbra serrate. “Abbiamo una serie di test che somministreremo alla signorina McDaniel dopo il colloquio.” Riporta la sua attenzione su di me. “Adesso perché non ci racconti un po’ di più della tua esperienza come programmatrice?”

King sembra annoiato quanto me mentre elenco tutti i miei traguardi nel campo della programmazione. Luis prosegue con tutte le possibili domande standard: Lavoro bene sotto pressione? In squadra? Accetto di lavorare le sere o di fare gli straordinari laddove necessario? Come mi sento all’idea di dovermi trasferire da Phoenix a Tucson?

Io rispondo automaticamente, studiando King, ma senza renderlo ovvio. Lui non mi fa altre domande. A cosa sta pensando? È ancora infuriato per quello che ho detto in ascensore?

“Hai domande per noi?” chiede Luis.

“Quanti candidati faranno il colloquio per questa posizione?”

Stu sfoglia le carte mentre gli altri due lo guardano in attesa della risposta. “Tre.”

“Quando pensate di farmi sapere qualcosa?” Probabilmente un po’ presuntuosa, ma la presunzione è tutto ciò che mi resta.

“Tra qualche giorno. Sentiremo tutti oggi.”

“Sarà meglio far aggiustare quell’ascensore, allora,” dico con tono canzonatorio, la voce più leggera di quanto realmente io mi senta.

Stu si alza in piedi. “Ora, se vuoi seguirmi, ti porto in un ufficio per il test.”

Grazie a Dio. I test li posso gestire. Non oso guardare King mentre mi alzo in piedi, le guance ancora in fiamme. Seguo Stu a testa bassa. Quando arrivo alla porta, mi arrischio a guardare.

King mi sta fissando, le labbra incurvate agli angoli.

Sadico. Si è divertito a mettermi in imbarazzo.

***

Jackson

Guardo i polpacci lunghi e muscolosi di Kylie uscire dalla stanza, il suo culo che disegna una perfetta forma a cuore sotto alla gonna corta e aderente. Il mio lupo sta già impazzendo e ringhia per uscire. Non gli ho mai permesso di perdere il controllo così tanto, soprattutto non in ufficio. Ma non c’è mai stata una tentazione come Kylie.

Costringo i miei pensieri a concentrarsi sul lavoro. Almeno gli aspetti del lavoro che riguardano lei.

“Voglio che mi mandiate i risultati dei suoi test.”

Luis annuisce. “Certamente. Sarà presente a tutti i colloqui oggi?”

“No.” Lui probabilmente vuole che dica di più, o mi spieghi, ma di certo non insisterà. Sanno tutti che sono un minimalista quando si tratta di conversazione.

“Posso chiedere… cosa le ha detto in ascensore?”

Scrollo le spalle. “Mi ha insultato. Non è un problema. Sono sicuro che la maggior parte dei miei dipendenti ha detto cose simili o ancora peggio, alle mie spalle.”

Luis giocherella con il suo bicchierino del caffè, troppo diplomatico per confermare. “Cosa ne pensa?”

“È sveglia, questo è evidente. Il suo curriculum non è tanto impressionante. Come ha detto che l’ha trovata, Stu?”

“Una cacciatrice di teste.”

“Mi chiedo come abbia fatto la cacciatrice di testa a dire che è adatta a questa posizione se nel suo curriculum non compaiono esperienze nell’ambito della sicurezza.”

“È sicuramente una hacker.”

“Ovvio. Ma come faceva la reclutatrice a saperlo?”

Luis appoggia il bicchierino sul tavolo. “Buona domanda. Vuole che lo scopra?”

“Sì. E fammi avere i risultati dei suoi test.”

“Quindi le è piaciuta?”

Nessun uomo così sexy dovrebbe essere tanto asociale.

Pensa che sia sexy. Sì, l’avevo già sentito dire, ma quello che gli umani pensano del mio aspetto fisico non mi era mai interessato. Tutti i mutanti – beh, tutti gli esseri paranormali a dire il vero – sono più belli degli umani. Almeno pensavo così, fino a che non ho conosciuto Kylie.

“L’ho trovata…” Scopabile? Inebriante? Un’adorabile ragazza tosta? Giusto… quello della ragazza tosta è un tratto da alfa. Se Kylie fosse una mutante, sarebbe a capo delle femmine del branco. Aveva tutte le qualità di una femmina numero uno.

Luis aspetta il mio commento. Che cazzo gli dico? Il suo odore è una droga? Il mio lupo vuole possederla?

“Interessante. L’ho trovata interessante.”

Mi alzo in piedi. Voglio seguire furtivamente Kylie in qualsiasi ufficio Stu l’abbia sistemata, anche solo per guardarla lavorare. Il mio lupo non la vuole sola con nessun altro maschio. E sono un ottimo cacciatore, soprattutto se la mia preda è Kylie.

***

Ginrummy

Non si aspettava che Kylie fosse così sexy. O composta. Brillante, sì. Ma se l’era immaginata introversa. Impacciata. Socialmente ansiosa come lui, magari con gli occhiali e i capelli tirati indietro alla bell’è meglio. Magari con il naso aquilino. Non il grazioso brillantino al naso, ma l’anello da toro infilato nel setto, da tipa tosta e ribelle.

Sa che non tutte le fanatiche del computer possono essere delle disadattate, però, ecco, chiunque abbia passato tutta l’infanzia online e fuori dal mondo reale non dovrebbe neanche apparire come un bocconcino del genere, con tacchi alti e tette da paura. Non dovrebbe essere in grado di guardare dritto negli occhi quello stronzo di Jackson King e comportarsi al proprio colloquio come se fosse lei a doverlo assumere.

Ora sembra annoiata mentre le sue dita danzano sulla tastiera, risolvendo i problemi relativi alla sicurezza che le hanno preparato.

In un certo senso questo facilita le cose. Assomiglia a Jackson King più di lui stesso. Dannazione, Kylie-Catgirl-McDaniel è decisamente troppo per lui. Quindi incastrarla per il crollo della SeCure non farà male quanto lui potrebbe immaginare. Perché nella sua testa lei è sempre stata una specie di cyber-fidanzata. Sì, è stupido, ma lei è femmina e lui è maschio, e sono stati complici nel mondo degli hacker fin dalla pubertà, quando a lui bastava sentire il nome ‘Catgirl’ perché i suoi ormoni infuriati decollassero.

Si sono affilati i denti insieme come giovani hacker, condividendo informazioni raccontandosi i loro successi, scambiandosi consigli, avvisandosi a vicenda. È stata davvero una grossa fortuna averla trovata dopo che era scomparsa da ormai otto anni. Ma era riemersa in superfice su DefCon, il vecchio forum segreto per hacker dove avevano sempre interagito, cercando aiuto per entrare nell’FBI. Naturalmente, lui l’aveva aiutata.

La stava cercando da tempo. Non solo per nostalgia, anche se spesso pensava a che fine avesse fatto. Lei è perfetta per quello che gli serve. Ci sono pochissimi hacker capaci di decifrare il codice della SeCure. E lui sa per certo che Catgirl è una di loro. L’ha già fatto prima, nientemeno che da adolescente.

Quindi, quando è riapparsa, lui l’ha aiutata con l’FBI e poi l’ha seguita attraverso le loro porte per vedere di cosa fosse capace. Era riuscita a cancellare le cartelle di tre persone: una coppia di coniugi morti e la figlia, ladri giustizieri, noti per rubare da chi aveva le mani sporche. Aveva anche aggiunto prove a discapito di un altro criminale, inclusi indizi su dove poterlo trovare. Scavando a fondo, aveva raccolto sufficienti prove per poter affermare che era la figlia della squadra dei topi d’appartamento. In sintonia con il genere di domande che lei aveva posto anni prima, riguardo a sistemi di sicurezza e casseforti. Sulla base delle limitate informazioni in possesso dell’FBI, il criminale che era riuscita a incastrare e far arrestare aveva probabilmente assassinato suo padre durante un lavoro.

Dopo era stato difficile, ma alla fine lui aveva trovato il suo indirizzo IP, e poi era bastato metterle alle calcagna una cacciatrice di teste per offrirle un lavoro alla SeCure. Immaginarsi la sua sorpresa quando aveva scoperto che viveva solo a due ore da lì, a Phoenix.

Ora la guarda, i capelli lucidi infilati dietro alle orecchie mentre risolve rapidamente quegli stupidi test che le hanno preparato. Oh, erano test veri, sarebbero stati una vera sfida per chiunque altro, ma sapeva che lei li avrebbe risolti brillantemente.

Se quella dannata interruzione della corrente non l’avesse fatta finire insieme a Jackson King, la sua assunzione sarebbe stata una certezza. Ma a quanto pare lei ha detto o fatto qualcosa che fatto incazzare il CEO. Spera con tutto se stesso che King non impedisca loro di assoldarla.

***

Kylie

Spingo e apro la porta della casa che condivido con mia nonna. Ho le gambe rigide dopo due ore d’auto fino a Phoenix, e sono pronta a buttare nella spazzatura questi tacchi. “Memé, sei a casa?”

Mia nonna appare dalla cucina, la faccia rugosa illuminata da un sorriso. “Minette!” Il mio nomignolo, Minette, è il francese per gattina. L’hanno inventato i miei genitori. Mia madre era francese: papà l’ha incontrata in un gruppo che lavorava a un furto di opere d’arte ad Arles. È stato amore a prima vista, da come la raccontava lui.

“Beh, com’è andata?” Memé mi parla sempre in francese, e io rispondo sempre in inglese. Parlo fluentemente cinque lingue e il francese è una di queste. Ma a casa sono pigra. O forse fa parte del mio tentativo di essere normale.

Mi lascio cadere su una sedia al tavolo della cucina e mi scalzo via le malvage scarpe di vernice con i tacchi alti. Che misera scelta che ho fatto.

Memé si siede accanto a me. “Sto aspettando.”

Metto in bocca un lampone. “Non bene. Ho incasinato tutto, a dire il vero. Che storia, Memé. È andata via la corrente mentre ero in ascensore.”

“No.” Memé sussulta in modo esagerato e si copre la bocca in una maniera animata, tipica solo di quelli della sua generazione. Memé sa della mia claustrofobia. Probabilmente può intuirne l’origine, anche se non parliamo mai della professione dei miei genitori, né delle mie precedenti attività illegali.

“E sono rimasta bloccata là dentro con Jackson King. Quel Jackson King.”

Memé mi guarda confusa.

“È il fondatore della SeCure. Ma io non sapevo che era lui: era buio. E ho detto alcune cose non proprio lusinghiere sul suo conto.”

Memé si mostra comprensiva. “Oh, che brutta cosa, ma petite fille.” Mi dà una pacca sulla spalla e si alza in piedi. “Mi spiace. Ti preparo un po’ di zuppa.”

Ovvio. Perché il cibo risolve tutto, no? Il cibo di Memé fa bene come una terapia. È venuta a vivere qui dopo la morte di mio padre, e per qualche mese le sue crêpe sono state l’unico motivo per cui venivo fuori dal letto.

Memé va al fornello e versa il brodo caldo in una scodella. Il menù di oggi offre cipolla francese, la mia preferita. Memé mi serve il ricco brodo marrone con una baguette e del formaggio svizzero.

“Fai attenzione, scotta.”

Le sorrido. Dopo la morte di Maman, ho passato tutta la mia infanzia a prendermi cura di mio papà, cercando di tenerlo fuori di prigione mentre lui giocava a fare Robin Hood, rubando ai ricchi per raddrizzare i torti nel mondo. Dopo tutti quegli anni, è bello farsi coccolare da Memé. Anche se, quando serve, è una tosta. Non avrei finito l’università se non mi avesse convinto lei. Avrei sempre continuato a fare corsi online, per puro divertimento. Ma lei ha insistito perché portassi avanti le lezioni a carte scoperte, dalla stessa scuola, arrivando alla laurea. Che mi prendessi il mio diploma e mi piazzassi nel mondo vero, anche se sotto falsa identità. E così ho fatto.

Ma la mia vita sociale è ancora molto limitata. Sono troppo abituata a essere una solitaria, a tenere nascosti i miei segreti. Dopo quello che è successo, dopo che mio padre è stato… Cristo. Ancora non riesco a pensarci senza sentire un dolore lancinante al petto. Dopo che è stato assassinato. Dopo che lo hanno tradito ed è stato dannatamente assassinato a sangue freddo. Sì. Dopo quel fatto, ho interrotto ogni attività illegale. Ho cancellato le nostre identità. Non che io e papà fossimo mai stati registrati da qualche parte, comunque. Sono diventata legittima. Con l’assassino doppiogiochista di mio padre a guardarmi, mi sono nascosta alla luce del sole, come ordinaria cittadina americana.

I furti erano comunque il lavoro dei miei genitori. Erano stati dei regolari Bonnie e Clyde. Ma mamma è morta in un incidente d’auto quando avevo otto anni, quindi sono diventata la nuova collega di papà. Mi sono rifiutata di lasciarlo solo, anche se lui avrebbe preferito che me ne stessi al sicuro in un collegio o con Memé a Parigi. Ma la sua missione di Ladro per la Giustizia non era cosa per me. A me piaceva fare la hacker.

È così che Memé mi ha aiutata a ottenere il mio attuale lavoro per la società di gioco. Ma sono scarsamente legata al mondo reale. Esco raramente di casa. Non frequento nessuno e non ho amici intimi. In un certo senso, sono ancora Catgirl, che sta in agguato nell’ombra.

Forse è per questo che l’incontro in ascensore mi ha agitata così tanto. Non sono mai stata toccata da un uomo, meno che meno da uno fico come Jackson King. È spaventoso con quanta facilità abbia fatto breccia dentro di me.

Il mio telefono vibra e prendo la borsa per frugarci dentro. Un numero della SeCure. “Pronto?”

“Ciao Kylie, sono Stu, della SeCure.”

“Ciao Stu.” Brillante K. Davvero brillante.

“Ti chiamo per dirti che siamo rimasti impressionati dalle tue abilità e che vorremmo offrirti il lavoro.”

“Davvero?” Una parte di me vorrebbe sventolare un pugno in aria in segno di trionfo. Ho dato la mia peggiore impressione in assoluto, eppure mi fanno lo stesso un’offerta. Tiè, Colloqui per principianti.

L’altra parte è scettica.

“Non c’è un secondo colloquio né niente del genere?”

“No. Hai totalizzato il 100 per cento nel test, e sei piaciuta alla direzione.”

“Alla direzione?” Non può intendere King.

“Sì. Luis pensa che tu sia stata fantastica. Quindi il reparto Risorse Umane ti chiamerà con l’offerta reale, ma ho il permesso di discutere io il salario con te. Offriamo 135.000 dollari, più le spese di viaggio. Assicurazione sanitaria e dentale completa, partecipazione ai profitti e opzioni azionarie che vanno ad aggiungere un terzo al pacchetto del salario.”

Ehm… wow. Guardo Memé e sorrido. Sono 50.000 dollari più di quello che guadagno adesso, e non mi sarei mai aspettata che mi pagassero anche le spese di viaggio. Probabilmente è troppo bello per essere vero. Ma non posso rifiutare. “Grazie, sembra ottimo.”

“Quindi accetti l’offerta?” Sembra entusiasta.

Dovrei fare un po’ la difficile, ma vaffanculo. “Sì. Assolutamente. Sono davvero elettrizzata.”

“Ottimo. Le Risorse Umane ti manderanno l’offerta scritta domani. Quando puoi iniziare?”

“Non lo so… Tra un mese?”

“Speravo tra due settimane,” dice Stu.

“Sul serio? È piuttosto veloce.”

“Paghiamo il trasferimento, quindi questo ti semplificherà il passaggio.”

“Due settimane è un requisito?”

“Sì.”

“Allora va bene,” dico.

“Ottimo. Domani finalizziamo i documenti. Benvenuta nel team.”

Riattacco e guardo raggiante Grandmere. “Ho avuto il posto!”

Memé mi getta le braccia al collo e mi dà un bacio sulla tempia. “È meraviglioso! Congratulazioni.”

Accetto il suo abbraccio, chiedendomi cosa ne pensi King della mia assunzione. Almeno non l’ha ostacolata. Non credo che la cosa dovrebbe eccitarmi così tanto.

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