Keily la grassona - Copertina

Keily la grassona

Manjari

Pericolosamente affascinante

C'erano tre motivi per cui ero in ansia.

Primo, non ero mai stata a una festa in casa prima. Appena entrata, la musica a tutto volume dalle casse faceva eco al battito accelerato del mio cuore. Vidi gente che ballava, beveva e si baciava.

Secondo, lui era lì. Lo individuai subito tra la folla. Alto, affascinante e circondato da ragazze che ridevano. Ma guardava solo ~me~.

Era il mio personale tormento.

Il terzo motivo era legato all'alcol che avevo bevuto e a ciò che indossavo sotto il mio lungo cappotto. O meglio, ciò che non indossavo.

Mister Bello-e-stronzo mi prendeva sempre in giro perché ero un po’ in carne. Mi chiamava Maialina ogni santo giorno. Si prendeva gioco dei vestiti che mettevo per nascondere le mie forme. Diceva che mi vestivo come una suora.

Sorrisi, probabilmente per l'effetto dell'alcol, mentre lo fissavo. Sotto il cappotto, indossavo solo biancheria intima. Niente più magliette larghe per nascondere il mio corpo, niente più gonne ampie per coprire la cellulite delle mie gambe.

Solo il mio seno, i miei fianchi e le mie curve, coperti da un po' di seta e pizzo.

Avrei visto presto la sua reazione.

Nessuno mi guardava mentre iniziavo ad aprire il cappotto, con il cuore che batteva all'impazzata. Nessuno prestava attenzione alla nuova ragazza cicciottella della scuola. Nessuno tranne lui.

Vidi i suoi occhi spalancarsi mentre aprivo il primo bottone del mio cappotto. Poteva intravedere la parte alta del mio seno ricoperto di pizzo.

Si avvicinò a me, ignorando le ragazze che cercavano di attirare la sua attenzione, facendosi largo tra la folla ubriaca e danzante.

Aprii il secondo bottone. Non ero più in grado di pensare lucidamente a causa della sensazione eccitante nel mio petto. Rivelai un pezzo in più della mia biancheria intima, la seta che aderiva al mio corpo.

Prima che potessi aprire il terzo bottone, delle mani forti afferrarono le mie. Alzai lo sguardo e lo vidi torreggiare su di me, ogni lineamento del suo bel viso era distorto dalla rabbia, la sua mascella contratta.

«Cosa diavolo pensi di fare?» Chiese. I suoi occhi indugiarono sul mio seno un secondo di troppo prima di tornare a fissarmi con ira.

Ciò mi diede coraggio. Insieme all’eccesso di alcol.

«Dimostrare che ti sbagli».

QUALCHE GIORNO PRIMA

AddisonSono arrivata.

Addison, mia cugina, mi aspettava in macchina. La sua pelle scura era splendida alla luce del sole, e i suoi ricci castani erano raccolti in una coda alta.

Tirai giù un po' la mia maglietta, assicurandomi che la mia pancia fosse coperta. La maglietta larga che indossavo era più lunga del solito, ma controllai comunque due volte che coprisse ciò che doveva coprire.

«Ehi», disse Addison quando mi sedetti accanto a lei.

«Ciao».

«Allora, sei emozionata? Oggi è il tuo primo giorno!» Esclamò allegramente e mise in moto. «Sarai la ragazza nuova, Keily».

Risi, il suo buon umore mi faceva sentire meglio. «Parli come se fossi in una serie TV, dove i ragazzi fighi si innamoreranno di me e le cheerleader mi combatteranno con le unghie e con i denti».

«Ehi! Le mie ragazze non graffiano, prendono a pugni». Addison fece un sorrisetto.

«Oh, se è così, ricordami di tagliarmi le unghie e imparare la boxe», scherzai di rimando.

Il nostro battibecco mi aiutò a sentirmi meno nervosa. Quello era il mio primo giorno alla Jenkins High.

Avevo vissuto a Remington per tutti i miei 18 anni di vita, quindi trasferirmi in quella nuova città e iniziare il mio ultimo anno di liceo in una nuova città era davvero spaventoso.

Non avevamo pianificato di trasferirci, ma quando l'azienda di mamma aveva deciso di aprire un nuovo ufficio lì, le avevano chiesto di essere la manager. Non aveva potuto rifiutare.

Bradford era la città natale di mamma. Era cresciuta lì per 21 anni, quindi si era ambientata facilmente.

A papà non importava trasferirsi. Lavorava come freelance e creava software e siti web.

Ma io non volevo lasciare il posto e le persone che conoscevo, anche se quelle persone erano cattive. Il trasloco sarebbe dovuto avvenire l'anno successivo, quando sarei andata all'università, non subito.

Durante l'estate, avevo avuto quasi due mesi per prepararmi e conoscere la città prima di iniziare alla Jenkins. Addison, la figlia del fratello di mia madre, era stata una guida fantastica e una buona amica (e cugina).

Aveva persino detto che mi avrebbe accompagnata a scuola perché casa sua era a pochi isolati dalla mia. Pensavo che si sentisse in dovere di farlo perché ero sua cugina.

Comunque, farmi accompagnare da mia cugina era meglio che stringermi in un piccolo sedile dell'autobus e ricevere occhiatacce dagli altri adolescenti ogni mattina.

Ne avevo ricevute parecchie a Remington.

«Siamo arrivate». Addison suonò il clacson, facendo spostare la folla nel parcheggio.

Guardai il grande edificio davanti a noi, sentendomi di nuovo molto nervosa.

«Benvenuta nella tua nuova scuola, signorina», scherzò mia cugina. Scese e io la seguii come un cucciolo sperduto (un cucciolo molto grande).

Di nuovo, tirai giù la mia maglietta, sentendomi a disagio nel camminare accanto ad Addison.

Mia cugina faceva parte della squadra di cheerleader e della squadra di atletica ed era una delle atlete migliori secondo le sue amiche. Non c'era da meravigliarsi che avesse il corpo che ogni ragazza desiderava.

Era magra, ma con belle curve e muscoli, e alta quasi un metro e ottanta. Con addosso jeans aderenti e un top corto, che lasciava scoperto un po' del suo stomaco piatto, sembrava uscita da una rivista di moda.

Io, d'altro canto, ero molto più bassa di lei. Avevo una pancia grande, braccia flaccide e gambe grosse.

Le uniche parti che potevo considerare positivamente del mio corpo erano probabilmente il seno e i fianchi. Ma a volte, anche per questi era difficile trovare vestiti adatti.

Quel giorno indossavo una maglietta larga, per nascondere il grasso, e leggings neri.

Anche se li consideravo i miei migliori vestiti casual, accanto ad Addison mi sentivo vestita male, e molto fuori forma.

Bastava guardarla; era uno schianto!

«Hai il tuo orario, la mappa e il codice dell'armadietto, vero?» Mi chiese, mentre salivamo le scale verso le porte aperte della scuola.

«Sì, li ho presi sabato. Non devi prenderti cura di me, non importa cosa ti ha detto mia mamma». Entrammo e subito sentii il familiare brusio del liceo.

Addison aggrottò le sopracciglia. «Keily, non sto con te perché me l'hanno detto tua mamma o mio papà. Mi piace davvero passare del tempo con te. Ti considero più un'amica che una cugina».

Le sue parole mi fecero sentire in colpa.

«Scusami. È solo che non voglio essere un peso. Mi stai già accompagnando a scuola. Non voglio essere un problema per te».

«A cosa servono le amiche se non a essere problemi?» Scherzò Addison, facendomi sorridere.

Era perfetta.

«Se la metti così, posso capire», risposi.

«Parlando di problemi, lascia che te ne presenti alcuni». Iniziò a camminare verso un gruppo di ragazze, tutte magre, carine e alte. Con uno sguardo, chiunque poteva capire che non appartenevo a loro.

Mi rimproverai mentalmente per i miei pensieri e cercai di ignorare quelle brutte sensazioni. Invece, con un sorriso entusiasta, seguii Addison.

***

«Come sta andando il primo giorno, ragazzi?» Chiese il nostro insegnante. Era la nostra terza lezione della giornata.

Tutti gemettero e alcuni dissero «Noioso» o «Bene». Quegli studenti non sembravano entusiasti quanto lui.

«È nel regolamento scolastico essere sempre così scontrosi?» Sospirò e scrisse sulla lavagna. Joseph Crones.

«Per tutti i nuovi studenti qui», mi guardò un po' più a lungo, «io sono Joseph Crones. Potete chiamarmi professor Crones».

Annuii quando mi guardò di nuovo. Ero l'unica nuova studentessa in quella classe?

«Dato che è il nostro primo giorno di inglese, perché non…» Si interruppe quando la porta dell'aula si aprì.

Un ragazzo entrò e consegnò un foglio al professor Crones. Non potei fare a meno di guardarlo. Era alto, oltre un metro e ottanta, e sembrava un atleta.

Dalle braccia muscolose, si poteva intuire che anche il resto del suo corpo fosse forte e atletico.

I suoi occhi incrociarono i miei e mi resi conto che lo stavo fissando. Abbassai rapidamente lo sguardo, il mio viso diventò rosso come un peperone. Odiavo quanto facilmente il mio viso mostrasse il mio imbarazzo.

«Signor Haynes, dica all'allenatore di lasciarla andare prima o di tenerla al campo con lui», disse il professore a Haynes.

«Diglielo tu», sentii Haynes rispondere sottovoce mentre camminava. Il nostro insegnante non lo sentì o decise di far finta di niente.

La mia testa era ancora abbassata, quindi quando vidi un paio di scarpe Nike vicino a me, rimasi confusa e alzai lo sguardo. C'erano ancora alcuni banchi vuoti in classe, ma Haynes si stava sedendo al banco accanto al mio.

La mia solita fortuna. Oh mamma mia...

Sapevo di stare esagerando, ma quel ragazzo mi aveva appena beccata a fissarlo. Era imbarazzante. Se avessi avuto un aspetto simile ad Addison, non sarei stata così preoccupata.

Ma con il mio aspetto, io, una ragazza grassa, non avevo il diritto di farmi piacere uomini belli come lui.

«Come stavo dicendo», continuò il professor Crones, «è il nostro primo giorno, quindi vi assegnerò un progetto che dovrete completare entro la fine di questo semestre. Tutto chiaro?» Fece un bel sorriso.

Tutti gemettero di nuovo.

«Molto bene». Voleva che scrivessimo un saggio di cinquemila parole su una qualsiasi delle opere di Shakespeare.

La lezione del giorno parlava di come la politica e la cultura dell'epoca di Shakespeare influenzarono la sua scrittura.

Onestamente, ero entusiasta del progetto. Mi piaceva la letteratura; era interessante.

Ma anche se cercavo di concentrarmi sulle parole del professore, continuavo a pensare al bel ragazzo seduto accanto a me. Essendo così vicino, potevo sentire il suo buon profumo.

Oh Dio, profuma anche in modo fantastico.

Durante tutta l'ora, mi guardò quando pensava che non me ne accorgessi. Continuavo a pensare che stesse per sussurrarmi qualcosa di cattivo o darmi un biglietto maleducato. Ma non lo fece.

Così, mi morsi il labbro, cercando di ignorarlo al meglio fino a quando suonò la campanella. Finalmente, misi i tappi alle mie penne e chiusi il mio quaderno.

Ma prima che potessi metterlo via, una mano atterrò sul mio quaderno, tenendolo sul banco. Alzai lo sguardo sorpresa, seguendo il braccio forte fino al banco accanto al mio.

Ciocche dei capelli castano scuro ricadevano sulla fronte di Haynes, il che in qualche modo lo rendeva pericolosamente affascinante. C'era uno sguardo pensieroso ma provocatorio nei suoi occhi molto scuri.

«Ehi», esordì.

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