La saga di Wolf Ranch - Copertina

La saga di Wolf Ranch

Renee Rose

Capitolo Due

AUDREY

Il testosterone nell’arena era travolgente.

Sfortunatamente, il mio corpo frigido se ne stava accorgendo. Avrei giurato che le mie ovaie avessero prodotto un paio di ovuli quando Boyd era entrato in infermeria. Tutto fascino e camminata da cowboy. Si era avvicinato così tanto che ero riuscita a sentire l’odore del suo dopobarba e sapone, e ciò aveva giocato qualche brutto scherzo alla mia testa. Anzi, al mio corpo. Ovunque. Mi ero sentita tutta calda e formicolante e il mio cervello aveva perso potere per un istante.

Già avevo un debole per i cowboy. I cappelli, l’andatura ancheggiante, l’aspetto rozzo e l’aria... virile. Era decisamente un vantaggio del mio trasferimento nel Montana. Boyd era praticamente un capolavoro di Dio in quanto a bellezza con la mascella scolpita e il sorriso facile. Capelli color sabbia leggermente troppo lunghi. Occhi chiari che mi erano scorsi addosso come se fossi stata un prelibato bocconcino che aveva voluto divorarsi. Un naso storto che dimostrava che, oltre al sorriso, probabilmente di facile aveva anche il pugno. Era il pacchetto completo – tutto il suo metro e ottanta abbondante di puri muscoli e uomo virile che mi faceva indurire i capezzoli e bagnare le mutande.

Il mio corpo aveva reagito alla sua presenza come se fossi stata bombardata da feromoni che, per quanto fosse assurdo, mi avevano fatta sentire come se fossi stata in calore e lui fosse stato una specie di stallone pronto alla monta. Io potevo anche non essere stata con un uomo per un po’... praticamente quasi da sempre, ma riconoscevo i segnali. Lui mi aveva desiderata per poter aggiungere un altro nome alla sua lista di conquiste.

La mia mente ragionava come una vera puttana – mi sarei fatta volentieri aggiungere a quella lista se ciò avesse comportato farmi legare a un letto da lui – cosa che non aveva il minimo diritto di fare. La gente di solito marchiava il bestiame, ma ognuno di quei gran pezzi di manzo che erano quei cowboy avrebbe dovuto portare un marchio che li garantisse come puttanieri. Erano tutti maschi dal sorrisino facile che sarebbero riusciti a far bagnare una donna solo facendole l’occhiolino e a farle calare le mutande arricciando un dito.

Quei campioni da rodeo evidentemente pensavano di essere un dono di Dio per noi donne, per quanto non riuscissi proprio a comprendere perchè Boyd e Abe – Abe poteva essere stato discreto nelle sue intenzioni, ma aveva flirtato comunque anche lui – si fossero scomodati a inscenare un teatrino per me quando c’erano una dozzina di cowgirl vestite in maniera più succinta e disponibili là fuori. Probabilmente si avventavano su qualunque femmina incrociassero. Un codice del cowboy o qualcosa del genere. Mi si erano rovinate le mutandine dopo essermi trovata nella stessa stanza con Boyd anche solo per pochi minuti, ma per fortuna le avevo ancora addosso. O per sfortuna, poichè non avevo dubbi che quel tizio ci sapesse fare col corpo di una donna e c’era stato un tavolo per le visite perfettamente robusto su cui piegarmi a novanta per farmi scopare.

Già, la mia mente da zoccola era piuttosto impegnata, diamine. Abe era stato l’unico ferito dell’evento fino a quel momento ed io riuscii a dirigermi verso gli spalti e ad assistere alle cavalcate sui tori. Ero la dottoressa di turno. Se qualcuno si fosse fatto male, avrei dovuto assisterlo, metterlo in comunicazione con l’ambulanza lì pronta e farlo arrivare all’ospedale.

Da dove mi trovavo seduta – a meno che qualcuno non si fosse messo casualmente a soffocare su un corn dog nell’area ristoro – avrei saputo se ci fosse stato bisogno del mio aiuto. Ero seduta accanto al corridoio con facile accesso all’area di competizione e un’ottima vista sulle rampe. Era lì che erano tenuti e preparati i tori, dopodichè i cowboy saltavano il recinto e gli montavano in groppa. Una volta che l’uomo era ben saldo sulla schiena dell’animale, il cancello veniva spalancato e quelli partivano, col toro infuriato che faceva di tutto per sbalzare il proprio cavaliere. Ciò praticamente mi garantiva un altro paio di pazienti prima della fine dell’evento.

Scrutai l’area delle rampe alla ricerca di quei due, osservando i primi concorrenti completare le loro gare. Rimasi allo stesso modo eccitata e terrorizzata mentre uno dopo l’altro portavano a termine il loro turno. La folla si sentiva come me, acclamava e sussultava alla stessa maniera. Cavalcare un toro era la cosa più sexy che avessi mai visto. E la più stupida.

Non sapevo come facessero quegli uomini a sopravvivere oltre i trent’anni. Forse non lo facevano. Quel pensiero mi fece inaspettatamente stringere il petto, come se avessi già sviluppato un legame con i due cowboy che avevo conosciuto.

Non il primo, ma il secondo. Abe era bellissimo. Delicato, considerata la sua stazza e la sua professione. Perfino dolce. Boyd, però, era... pericoloso. Non avevo paura che mi avrebbe fatto del male fisico, nonostante fosse alto almeno venti centimetri più di me e pesasse probabilmente venti chili in più, ma qualcos’altro. Avrebbe potuto ferire il mio cuore. Rovinare i miei piani. Ero stata talmente concentrata sulla scuola di medicina e sul mio internato. Sulla mia carriera. Non era da me farmi distrarre da un culo perfetto fasciato da un paio di Wrangler. Era un cattivo ragazzo che sapevo mi avrebbe creato problemi, ma che desideravo lo stesso.

Un concorrente venne sbalzato dal proprio toro e cadde pesantemente a terra, per poi rotolare via in modo da non farsi colpire dagli zoccoli posteriori dell’animale. I clown da rodeo – ero sicura che avessero un altro nome, ma non lo conoscevo – corsero da lui e distrassero l’animale così che il concorrente potesse rialzarsi in piedi. Io esalai mentre la folla acclamava il suo buon punteggio. Lui si spolverò gli abiti, sollevò il proprio cappello in cenno di saluto e uscì dal ring.

Il viso di Boyd comparve sul grande schermo, il suo sorriso facile ampio sei metri. La folla andò in delirio, il che significava che probabilmente il suo ego era grosso come la sua immagine su quell’enorme schermo. Già, dovevo davvero mantenere le distanze da quel tizio perchè non ero il tipo da storiella di una notte. Con la scuola di medicina e il tirocinio, socializzavo a malapena, figuriamoci uscire con qualcuno, figuriamoci fare un sacco di sesso. O farne proprio. Magari una sveltina si sarebbe adattata di più alla mia folle agenda, ma no, non era da me. Io ero il tipo da storia a lungo termine, da impegno serio. In effetti, mi ero trasferita in quella piccola cittadina del Montana per mettere su famiglia. Per rallentare un po’. Per trovare un compagno di vita, proprio come avevo sempre desiderato. Creare una famiglia con due genitori che si amavano e un sacco di bambini. Volevo quel genere di follia. Andare in slitta, fare esperimenti per la fiera scientifica, allevare gerbilli. Era quello che bramavo. Soprattuto i bambini.

Scoparmi un campione del rodeo non faceva parte del piano e dubitavo che un campione del rodeo volesse scoparsi una donna con la smania per i bambini. Le parole “orologio biologico” non significavano lo stesso per lui e per me. I suoi progetti duravano otto secondi, i miei una vita intera.

Ad ogni modo, il mio corpo andò in piena allerta quando intravidi il suo nome sullo schermo – Boyd Wolf contro Sudore della Notte, che era un nome folle per un toro.

Mi sporsi in avanti per scorgerlo giù sulle rampe. Erano tutti uguali con indosso gli elmetti, i giubbotti di sicurezza e i sovrapantaloni in pelle, con i logo degli sponsor cuciti alle camicie coi bottoni al colletto. Tuttavia, poi lo vidi – se non altro fui piuttosto certa che fosse lui. Quel concorrente sprizzava la stessa sicurezza naturale che aveva dimostrato lui nell’infermeria.

Saltò in groppa al toro nero che sbuffava dopodichè si mise a sistemare la presa sulla corda con movimenti sciolti e abili. Solamente la sua mano lo teneva su quella bestia. Non conoscevo alcun dettaglio riguardante la corsa sui tori, solo che avevo sentito dire che venisse chiamato un evento roughstock. E decisamente erano brutali.

«Ehi, bellissima.» Abe risalì i gradini in cemento e si sistemò col suo immenso corpo sul posto accanto al mio.

Io non potei fare a meno di sorridergli, ma tornai ad adocchiare le rampe.

«È dura assistere?» mi chiese.

Io annuii. «La tua gara è andata bene. Sei rimasto in sella oltre il segnale. Dovrei congratularmi, giusto?»

Lui si sollevò un po’ il cappello, poi mi posò una mano sulla spalla. «Sissignora. La miglior gara della serata. Finora. Possiamo festeggiare con te che ti prendi quel caffè assieme a me più tardi.»

Il suo sorriso facile e le sue maniere miti mi suscitarono un sorriso. Era bellissimo. Cortese. Ma proprio come Jett Markle, il rancher del posto col quale avevo avuto un pessimo appuntamento la settimana prima, non mi ispirava affatto. Come quei romanzi rosa che leggevo nel tempo libero, io volevo una scintilla. Calore. Attrazione. Chimica.

Jett si stava dimostrando un tipo viscido, per cui non potevo inserire Abe nella stessa categoria.

L’annunciatore diede il via alla gara seguente ed io fui distratta dal turno imminente di Boyd. Quando guardai di nuovo nella sua direzione, non era concentrato sull’animale infuriato che pesava quintali sotto di lui, ma su di me. Il suo sguardo era fisso sul mio ed io sussultai. No, non mi stava guardando negli occhi, stava guardando la mano di Abe sulla mia spalla. Boyd serrò la mascella e assottigliò lo sguardo. Nel caso non mi fossi sbagliata, era tanto infastidito da quell’azione quanto lo era il toro dall’avere un uomo seduto in groppa a sè.

Perchè mi stava guardando? Io non ero importante. Ero la dottoressa bassa e tozza senza una vita sociale. Tuttavia, mi stava fissado. Cercai di placare il mio respiro quando mi rivolse un cenno del capo. Mi resi conto che non fosse diretto a me quando il cancello si aprì di colpo.

Sudore della Notte uscì pestando gli zoccoli, sbuffando furioso per via del proprio cavaliere. Io trattenni il fiato, lo stomaco che mi si contorceva in un nodo stretto mentre scalciava da dietro.

Perfino nonostante quelle impennate, Boyd sembrava seguire quei movimenti contorcenti con agilità, le sue cosce che stringevano i fianchi del toro, il suo braccio alzato, la schiena flessibile, i suoi movimenti graziosamente in sincrono con l’animale.

Era ipnotizzante.

Perfino magico.

Un grosso sorriso gli tese le labbra come se cavalcare tori per lui equivalesse a farsi una passeggiata nel parco. Oddio. Faceva sul serio?

Scrutò la folla... mentre cavalcava il toro.

Quale concorrente di un rodeo aveva la prontezza di spirito di cercare la mamma mentre tentava di restare in sella a un toro infuriato?

La folla era in delirio – acclamava e batteva i piedi. Boyd era già rimasto sul torno per otto secondi.

Nove.

Mi alzai per vedere meglio e lui mi scorse. Di nuovo.

Era impossibile.

Poteva aver lanciato un’occhiata nella mia direzione prima, ma adesso? In sella a un toro? Non mi avrebbe cercata tra la folla.

Strillai, coprendomi la bocca mentre veniva sgroppato, sbalzato in aria come un frisbee. Oddio – no! Il tempo rallentò. Strizzai gli occhi, poi li riaprii mentre l’orrore si compiva. Mentre il corpo roteante di Boyd scendeva verso terra, il toro si voltò e agitò la testa, piantando violentemente un corno proprio sotto il giubbotto di protezione di Boyd.

Era stato trafitto.

Gravemente.

Forse letalmente.

«Oh merda,» disse Abe. Per quanto sapessi che non fosse finita bene, le parole di Abe lo confermarono. Aveva assistito a più gare di me e quella era peggiore delle altre.

Passai in modalità dottoressa, il mio addestramento che faceva effetto. Corsi giù per i gradini prima ancora di rendermi conto che i miei piedi si stessero muovendo, raggiungendo l’arena di corsa assieme ai soccorritori d’emergenza.

«Aspettate!» esclamò un manager, sbarrandoci l’ingresso mentre i clown da rodeo distraevano il toro e due concorrenti correvano a prenderlo al lazo. «Adesso, andate! Andate!»

Boyd era piegato su un ginocchio, che cercava di rialzarsi. Probabilmente l’adrenalina era l’unica cosa che lo tenesse in piedi. Aveva la camicia e i jeans zuppi di sangue, che macchiava la terra ai suoi piedi.

«Smetti di muoverti!» urlai mentre lo raggiungevo di corsa. «Sta’ fermo, Boyd.» Ai soccorritori che mi seguivano con una barella, abbaiai, «Mettetelo su.»

Con cautela, loro lo trasferirono sull’asse, ce lo legarono e si alzarono, attraversando di corsa il ring di sabbia verso il punto in cui avevano lasciato la struttura con le ruote.

«Mi servirà un bendaggio compressivo e una flebo. E della morfina, » ordinai, uno di loro che parlava nel walkie talkie che aveva appeso alla spalla, speravo passando le informazioni al pronto soccorso. «Lo accompagnerò in ospedale.»

Non ero un dottore specializzato in traumi. Ero un’ostetrica ginecologa, ma mi tornò alla mente tutto ciò che avevo imparato durante i miei turni nei vari reparti. Tenni il passo con la barella, cercando di valutare la profondità, la posizione e la gravità della ferita quando una mano si chiuse sulla mia.

Il mio sguardo corse sul volto di Boyd. Era pallido e aveva la fronte imprlata di sudore, ma mi sorrise.

«È solo un graffio, dottoressa,» mi disse con voce roca. Faticava a respirare, specialmente nel prendere fiato. Dovevo immaginare che avesse un polmone perforato. «Non c’è bisogno di preoccuparsi.»

Stava davvero confortando me? Adesso?

Gli strinsi la mano di rimando, sorpresa da quanto sollevata mi rendesse il suo atteggiamento positivo. In quanto dottore, sapevo che era in grave pericolo, ma sapevo anche che la mentalità del paziente era in grado di fare la differenza tra la vita e la morte.

«Di solito sono io a dare incoraggiamento, ma sono felice che tu abbia un atteggiamento positivo. Ti darò qualcosa per il dolore non appena saremo sull’ambulanza.»

Lui fece una smorfia, cercando di alzarsi a sedere per guardarsi la ferita.

Io lo spinsi nuovamente giù, per quanto non sarebbe andato da nessuna parte con la cinghia che lo teneva in vita. «Vacci piano, campione, stai perdendo sangue.»

Lui mi rivolse un mezzo ghigno mentre il suo viso si faceva pallido. La sua pressione sanguigna molto probabilmente stava precipitando e lui stava avendo uno shock. Avevo bisogno di stabilizzarlo subito. Mentre le sue ciglia tremolavano, borbottò, «Immagino non uscirai a prenderti quel caffè con Abe, eh?»

Cosa? Aveva un buco nel petto e si preoccupava di me che uscivo con Abe? «Suppongo di no. Tieni duro per me, okay?»

Ma era troppo tardi. Aveva perso conoscenza.

Col cuore che mi martellava nel petto, saltai sull’ambulanza assieme a lui e mi occupai personalmente dell’inserimento dell’ago per la flebo nel suo braccio mentre il paramedico gli posizionava una maschera d’ossigeno sul viso.

Boyd Wolf era probabilmente il cowboy più presuntuoso del west. Era compito suo montare in sella a un toro, ma spettava a me salvarlo quando ne cadeva. Avrei fatto tutto il possibile per riuscirci.

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