La sua gattina - Copertina

La sua gattina

Michelle Torlot

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Chapter
15
Age Rating
18+

Summary

Rosie Ryan ha sempre saputo che il lavoro di suo padre non era esattamente "legale", ma dopo la morte della madre erano loro due contro il mondo e a lei non importava. Tutto questo andava bene finché, un giorno, tornando a casa da scuola non ha visto l'FBI che portava via il padre. Ora è in fuga e deve affidarsi all'unica persona che le è rimasta, suo zio Daniel. Per quanto le cose vadano male ora, non ha idea di quanto stiano per peggiorare...

Età: 18+

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42 Chapters

Chapter 1

Corsa

Chapter 2

Lo zio Daniel

Chapter 3

Rapita

Chapter 4

Vincent
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Corsa

ROSIE

Uscii dall'ingresso principale dell'edificio scolastico. Era stata un'altra giornata noiosa. Odiavo andarci, ma mio padre aveva insistito. Non c'era niente che avrei potuto dire per convincerlo del contrario.

Nemmeno lo stratagemma in stile "Beh, tu non hai avuto bisogno di diplomarti" avrebbe funzionato. Si sarebbe limitato a ridacchiare. Non mi aveva mai coinvolta nei suoi traffici, ma sapevo che non erano legali.

Credo che sapesse che anch'io lo sapevo. Ma non ne avevamo mai parlato.

Però si era sempre preso cura di me. Non mi era mai mancato nulla. Non eravamo per niente ricchi, ma avevamo tutto il necessario. Eravamo soli io e lui, non avevo bisogno di nessun altro.

Non avevo mai conosciuto veramente mia madre. Era morta mettendomi alla luce. Mio padre diceva sempre che era questo che mi rendeva speciale. Ero la sua piccola principessa.

Adesso che mancavano pochi mesi al mio diciottesimo compleanno ero ancora la sua principessa, solo non più così piccola.

Essere stata cresciuta solo da mio padre significava che ero un po' più tosta dei miei coetanei. Soprattutto considerando gli ambienti che frequentava. Mi aveva insegnato a farmi valere, ma al tempo stesso mi aveva sempre detto: "Non iniziare mai qualcosa che non puoi finire".

Il che ci porta a parlare dell'idiota sulla moto che mi stava davanti.

"Ehi, Rosie, che ne dici se ti porto a casa?" Urlò.

La sua voce mi dava fastidio. L'accento irlandese non mi era mai piaciuto. I suoi occhi verdi scintillarono e si scostò i capelli rossi dal viso.

"Vaffanculo, Patrick!" Gli risposi urlando.

Il suo fan club, interamente composto da ragazze, si sedette sui gradini e mi guardò. Erano per lo più cheerleader. Immaginavo che Patrick fosse una specie di atleta. Probabilmente di pallacanestro: era troppo magro per essere un giocatore di football.

"Dai, Rosie, non fare così", replicò.

Quello stupido stronzo non accettava mai un no come risposta. Era una troia in versione maschile: doveva essersi fatto tutte le ragazze della scuola. Tutte tranne me, naturalmente. Ma questo non gli impediva di continuare a provarci.

Alzai gli occhi al cielo.

"Vai a disturbare una delle tue puttanelle", ringhiai. "O, meglio ancora, tornatene a fanculo in Irlanda".

Infilai le mani nelle tasche dei miei pantaloncini di jeans e iniziai a camminare verso casa. Erano circa quindici minuti di cammino.

Avrei potuto accettare l'offerta di Patrick, ma non sarebbe stato solo un passaggio a casa. Avrei potuto prendere l'autobus, ma non mi andava di sedermi con quel gruppo di perdenti.

Non appena mi fossi diplomata, avrei lasciato quell'inferno. Dovevo solo parlare con papà per convincerlo a farmi lavorare con lui.

Non sarebbe stato contento. Sapevo che voleva che facessi qualcosa di legale, ma lui guadagnava più soldi in un giorno di quanto facesse la maggior parte delle persone in una settimana.

Persa nei miei pensieri, alzai lo sguardo e mi resi conto di essere quasi arrivata. Poi mi fermai di botto e fissai la mia casa.

Era circondata da poliziotti. Non poliziotti qualsiasi, ma federali: agenti dell'FBI, con i loro giubbotti antiproiettile. Che cazzo stava succedendo?

Mi accovacciai il più velocemente possibile dietro una delle auto dei vicini e mi misi a osservare la situazione per cercare di capire cosa fare.

Poi due uomini dell'FBI uscirono dalla porta trascinando mio padre con le mani ammanettate dietro la schiena.

Lui mi vide, anche se non potrò mai capire come diavolo avesse fatto, visto che nessuno dei federali mi aveva notata. Fatto sta che mi lanciò un'occhiata. Mi aveva sempre detto che il giorno in cui fossi tornata a casa e avessi trovato dei poliziotti al suo esterno, sarei dovuta filare via.

Sentii le lacrime salirmi agli occhi. Non sapevo se avrei mai rivisto mio padre, a meno che non si fosse trattato di un grosso errore, cosa di cui, nel mio intimo, avevo seri dubbi.

I federali dovettero aver capito che stava succedendo qualcosa, perché improvvisamente mi ritrovai gli sguardi di tutti puntati addosso.

"Ehi, tu!" Urlò uno di loro iniziando a correre verso di me.

Mi misi a correre a mia volta. A scuola odiavo gli sport anche se ero dannatamente brava a farli: sapevo essere veloce e me la cavavo piuttosto bene con gli ostacoli. Non avrei mai pensato che mi sarei ritrovata a mettere a frutto il tempo trascorso sul campo di allenamento, ma era esattamente quello che stavo facendo.

Mi precipitai lungo la strada e poi in uno dei vicoli laterali. Scavalcai la recinzione e scesi in un altro vicolo fino a raggiungere l'isolato successivo. Non mi fermai un attimo. Continuai a correre come se tutti i segugi dell'inferno mi stessero inseguendo.

Se mio padre fosse stato arrestato, sarei rimasta sola. Il che significa che sarei finita nel sistema di affidamento, o peggio.

Quando finalmente mi fermai, dovevo essere a circa cinque o sei isolati di distanza da casa mia. Aveva anche iniziato a piovere.

Ragionai: avevo solo i vestiti che indossavo, cinque dollari in tasca e il mio cellulare. Non avevo nemmeno una giacca. Come diavolo avrei fatto a cavarmela?

Non facevo amicizia facilmente, quindi non avevo amiche che potessi chiamare per ospitarmi per la notte.

E non potevo tornare a casa.

Mi avvolsi le braccia intorno alle spalle nel tentativo di riscaldarmi mentre la pioggia si faceva più intensa.

Pensa, Rosie, mi dissi.

Poi mi ricordai di un'altra cosa che mi aveva detto mio padre. Zio Daniel.

Zio Daniel non era un vero zio. Era solo un vecchio amico di mio padre. E mio padre si fidava di lui. O meglio: c'era stato un tempo in cui mio padre si era fidato di lui, quando stavo crescendo e l'avevo visto diverse volte.

Avevo solo cinque anni, la prima volta che era venuto a cena da noi. Mentre papà mi chiamava la sua piccola principessa, zio Daniel mi chiamava la sua gattina, e il soprannome mi era rimasto.

Ma non lo vedevo da vari anni. Non sapevo perché avesse smesso di venire e non ne avevo chiesto la ragione a mio padre. Papà si occupava di affari con altre persone e, quando ospitava qualcuno, mi diceva sempre di non farmi notare.

Ma quando veniva zio Daniel non lo faceva mai.

Poi, un paio di settimane prima...

***

Qualcosa in mio padre mi era sembrato un po' strano. Non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Quando gli avevo chiesto se stava bene, aveva annuito e mi aveva sorriso. Ma mi ero accorta che era un sorriso forzato, fatto con le labbra, non con gli occhi.

Poi mi aveva guardata seriamente. "Se mi succede qualcosa, principessa, voglio che tu contatti lo zio Daniel".

Aveva preso il mio cellulare e ci aveva inserito un numero.

"Va tutto bene, papà?" Avevo insistito.

Lui aveva sorriso di nuovo. "Certo. Dai, andiamo a prenderci un gelato".

Avevo annuito e gli avevo sorriso a mia volta. Il gelato riusciva sempre a distrarmi.

***

Dopodiché, tutto era tornato normale. Almeno fino a quel giorno.

Presi il telefono dalla tasca posteriore e aprii l'elenco dei contatti. Fissai il numero che mio padre ci aveva inserito.

Non lo vedevo da cinque anni. Si sarebbe mai ricordato di chi fossi? All'epoca ero una bambina carina, mentre ora ero un'adolescente scontrosa. Sospirai e rimisi il telefono a posto.

Non era il momento di chiamare uno sconosciuto virtuale. Avrei trovato un'altra soluzione, di solito ci riuscivo.

Mi infilai di nuovo le mani in tasca e tastai la banconota da cinque dollari. Avrei potuto almeno comprare del cibo e trovare un posto dove passare la notte. Poi avrei potuto ripensare alle mie opzioni il mattino successivo.

Mi guardai intorno e mi diressi verso un minimarket.

Dieci minuti dopo ne uscii con una bottiglia d'acqua, un panino e una tavoletta di cioccolato. Avevo ancora un paio di dollari che avrei potuto tenere per le emergenze.

Forse i federali se ne sarebbero andati entro il mattino successivo. Nel frattempo, mi diressi verso la zona più residenziale. C'erano sempre delle case in vendita, molte delle quali vuote. Ne avrei trovata una da occupare abusivamente per la notte.

Non ci volle molto prima che mi imbattessi in una piccola proprietà con un cartello "Affittasi" all'esterno. Sembrava in cattive condizioni, quindi pensai che sarebbe stato un posto abbastanza sicuro in cui introdurmi.

Alcune finestre erano sbarrate, così scavalcai la recinzione ed entrai nel cortile. La porta sul retro aveva le tipiche lastre di vetro in basso e in alto.

Trovai una pietra in giardino e la usai per rompere uno dei vetri. Mi avvicinai, feci scattare la serratura e aprii la porta. Non c'era un sistema di allarme, il che non mi sorprese: il posto era troppo sgangherato per esserne provvisto.

Mi guardai rapidamente intorno. Sembrava che avessi avuto fortuna. Era in disordine. Nessuno era ancora entrato per ripulire le schifezze dei precedenti inquilini.

Aprii il rubinetto della cucina. Si sentì un rumore, ma niente acqua. Dovevano aver staccato le utenze. Ma ero perlomeno all'asciutto.

Poi controllai le camere da letto: erano tutte vuote. Avevo sperato di trovare almeno un vecchio materasso o una coperta, ma non ebbi fortuna. Decisi che avrei dormito sul pavimento.

Mi sedetti e mangiai il cibo che avevo comprato, tenendo le orecchie tese in caso d'imprevisti. Dopo essermi accertata che non ci fosse traccia di nessuno a parte me, mi sdraiai sul pavimento e, usando il braccio come cuscino, cercai di dormire un po'.

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