Alfa ribelli - Copertina

Alfa ribelli

Renee Rose

Capitolo Due

Jackson

Percepisco il momento in cui Kylie entra nell’edificio. Anche se non avessi saputo che oggi era il suo primo giorno alla SeCure, la sua presenza non mi sarebbe sfuggita. I miei sensi di lupo si risvegliano. Un ringhio mi sale nella gola. Ricacciandolo giù, mi alzo dalla mia scrivania e vado all’ampia vetrata, guardando il panorama delle pendici dei monti Catalina. Improvvisamente il colletto della camicia è troppo stretto. Vorrei togliermi i vestiti, assumere la mia forma di lupo. Vorrei correre. Ululare. Cacciare.

Quando Tucson ha corteggiato la SeCure chiedendo di spostare in città la nostra sede legale, ho fatto il gioco duro, insistendo per avere vantaggi fiscali e nuove strade che conducessero al luogo proposto. Ma in realtà non ci vuole un genio a capirlo. Tucson è perfetta per un mutante: nascosta tra tre catene montuose, con una popolazione di appena un milione di abitanti, mi concede rapido accesso alla natura incontaminata, mantenendo tutti i vantaggi lavorativi. Attrarre qui dei dipendenti di alto calibro non è stato difficile: la maggior parte dei professionisti sono rimasti deliziati all’idea di trasferirsi in un luogo deserto, anche con le estati calde.

Ho fatto costruire il quartier generale ai piedi delle montagne. La mia stessa villa è annidata davanti alle Catalina, quindi posso correre e cacciare quando voglio.

Cammino davanti alle finestre, la pelle formicolante. Sto effettivamente considerando l’idea di trasformarmi alla luce del sole. Il mio lupo vuole uscire. Vuole cacciare, uccidere. O scopare.

Mia.

Già, il mio lupo vuole scopare quella piccola umana sexy del sesto piano. Se fossi furbo, me ne starei bene alla larga. Ma non stavo pensando con il mio cervello quando ho raccomandato di persona che la assumessero.

Non riesco a levarmi Kylie dalla testa. Da due settimane il suo odore mi arriva alle narici di notte. La vedo nei miei sogni. Il ricordo delle sue gambe lunghe e delle tette col pipistrello me lo fa diventare duro ogni volta.

Come fa un’umana a essere così attraente?

Qualcuno bussa alla porta. “Signor King? Il suo appuntamento delle nove è qui.”

Con un sospiro mi siedo alla scrivania. “Fallo entrare.” Altra merda di affari da gestire. Kylie dovrà aspettare.

***

Jackson

Mi sforzo di aspettare fino alle undici. A quel punto tutto il mio corpo si contrae nello sforzo di resistere all’istinto. Scatto in piedi ed esco a grandi passi dal mio ufficio, passando oltre la scrivania della mia segretaria.

Lei sembra sorpresa. “Il suo appuntamento delle undici sta aspettando, signore.” Me l’ha già detto una volta, e le ho chiesto un minuto.

“Sì, lo so. Torno tra cinque minuti.” O dieci. O il tempo che mi ci vorrà per schiaffare la mia piccola Batgirl contro il muro e fotterla fino allo stremo.

Ricaccio giù il mio lupo. È una cattiva idea. Lei è umana. Bella. Fragile. Delicata. Al meglio la lascerei piena di lividi. Al peggio… la spaccherei.

Ma devo vederla.

Prendo l’ascensore e scendo al sesto piano. Il pensiero di quando l’ho toccata mi fa diventare l’uccello ancora più duro. Grazie al cielo eravamo bloccati insieme. Grazie al cielo non mi sono accorto che il suo odore mi chiamava se non dopo che siamo venuti fuori da questo spazio ristretto. Solo anni di controllo hanno impedito al mio lupo di prendere il sopravvento e farla sua proprio lì. Il controllo e quella fottuta condizione di confusione.

Non mi sono mai sentito così prima d’ora. Non dovrei sentirmi così. Soprattutto non nei confronti di un’umana.

Mi muovo furtivo lungo il corridoio, ignorando il modo in cui le conversazioni tra dipendenti si smorzano quando mi vedono. In genere trovo piacevole il loro nervosismo. Soddisfa il mio lato predatorio. Ma oggi ho una preda diversa.

Non ho bisogno di chiedere dove sia stata collocata la mia piccola hacker. Il suo odore lascia una scia. Vaniglia e spezie, e un aroma che non conosco.

La mia caccia termina davanti a un piccolo ufficio senza finestre. Kylie è seduta e studia lo schermo del suo computer con una tazza di caffè alle labbra.

Anche se non faccio alcun rumore – i mutanti si spostano molto più silenziosamente degli umani – la sua testa scatta nella mia direzione prima che varchi la soglia. Sbatte le palpebre come se non potesse credere che sono realmente io.

“Signor King.” Ruota sulla sua sedia ma non si alza in piedi. Il mio lupo è contento che abbia perso la sua paura di me. Incrocia le lunghe gambe nude, e ringrazio il cielo che si sia messa un’altra gonna corta. “O dovrei chiamarti J.T.?”

Quindi è ancora seccata dal mio piccolo inganno. La sua voce ha una nota di sdegno che nessun altro dipendente oserebbe mostrare, e dannazione, mi provoca un solletichìo all’uccello.

Vederla mi elettrizza, ma mi concedo solo un sorrisino. “Possibile.”

Il suo sguardo si sposta sulla porta alle mie spalle, e solo perché sono in parte lupo riconosco una leggera vibrazione da animale in trappola sotto la sua sicurezza. Come se si sentisse nervosa vedendo la sua unica uscita bloccata. Deve fare parte della sua claustrofobia. Entro nell’ufficio e mi allontano dalla porta, lasciandole così una possibile via di fuga, e la vedo rilassarsi.

Mi appoggio al muro, incrociando le braccia sul petto. Il mio lupo vuole che gonfi i miei muscoli e corra fuori a cacciare un coniglio da portarle per pranzo. Stai buono, amico.

Il suo odore mi colpisce le narici, risvegliando il formicolio della mutazione. Respingo l’istinto, sperando che i miei occhi non abbiano cambiato colore.

Lei inarca le sopracciglia. “Ti fai chiamare così?”

“No.”

Posa la tazza di caffè e si alza in piedi. La gonna fascia il suo corpo, i tacchi mettono in rilievo i muscoli dei suoi polpacci. Una maglietta sbiadita di Spiderman le avvolge il petto. La ragazza ha una perversione per i supereroi.

Peccato che io sia il cattivo. Vorrei tirare su quella maglietta e far scorrere la lingua su quella pancia piatta, su fino alle tette sode.

“Senti, mi voglio scusare ancora per quello che ho detto. Non lo intendevo veramente. Ero solo… invidiosa.” Sembra sincera.

Non mi aspettavo un’altra scusa. La posizione delle sue spalle dice che è sulla difensiva, ma la morbidezza del suo volto e della voce mi fa capire che sta realmente tentando di essere carina. Il che è… rinfrescante. I miei dipendenti, i colleghi d’affari, diavolo, tutti nella mia vita fanno i leccaculo con me, oppure sparlano alle mie spalle. O entrambe le cose. Solo gli altri mutanti sono veri, ma i branchi dell’Arizona non mi adorano. Ed è colpa mia.

“Invidiosa di che cosa?”

Lei scrolla le spalle. “Del tuo cervello, immagino.”

Un’altra sorpresa. Per lo più la gente è invidiosa del mio successo, dei miei soldi, del mio potere. Sembrano pensare che non me li sia guadagnati. Che abbia avuto fortuna. “Se entrassi nella mia testa, non troveresti tutto questo granché,” dico. Solo una vita colma di senso di colpa. Qualsiasi terapeuta descriverebbe la mia ossessione per la carriera come una compensazione. E se lo psicoterapeuta sapesse quello che ho fatto per meritarmi questo disprezzo che ho per me stesso, mi farebbe rinchiudere. Ma il mio errore non può essere cancellato. Mia madre non può essere riportata indietro dal mondo dei morti, e la morte del mio patrigno è comunque avvenuta troppo tardi.

Kylie mi osserva.

Cosa vede? Un grande e goffo geek? Un tizio inquietante? O vede il lupo nei miei occhi, il predatore che vuole metterla carponi e scoparla all’infinito?

“Ti piace il mio codice.” La mia voce è roca, gutturale, vicinissima alla trasformazione.

“Sì.” Mi rivolge un lento e seducente sorriso, come se le chiacchiere sul codice fossero i preliminari. I suoi denti sono perfetti e bianchi, le labbra gonfie e lucide. “I tuoi occhi sono più chiari di quanto ricordassi.”

Merda.

Sbatto velocemente le palpebre. “Cambiano.” Non è una bugia. “Sto lavorando a un nuovo linguaggio.” Cristo, questo è davvero un discorso tra geek. La prossima cosa che le dirò sarà una storia del tipo ‘Una volta al campeggio…’

Le si illuminano gli occhi e avanza, invadendo il mio spazio. È tonica, ha le gambe lunghe, tette e culo sono la perfezione.

“Vorrei che lo mettessi alla prova per me.”

Oh santo cielo, che diavolo sto facendo? Non ho mai permesso a nessuno di vedere il mio lavoro, soprattutto non a una dipendente nuova di zecca di cui non so niente.

Lei si fa più vicina. “Mi piacerebbe tantissimo.”

Ha i capezzoli duri?

“Dovrebbe essere dopo l’orario di lavoro, e con una certa riservatezza. So che Stu ha altro lavoro per te.”

“Certo, ottimo.” Non è intimorita dagli straordinari, a quanto pare. Decisamente una vera fanatica della tecnologia.

“Nel mio ufficio alle sei.” Suona come un appuntamento. Deve aver avuto anche lei la stessa impressione perché l’odore dell’eccitazione femminile mi arriva al naso.

Stringo i pugni, premendomi contro i palmi le unghie affilate per impedirmi di afferrare il suo corpo e tirarlo contro il mio. Me l’immagino nuda, stesa sulla mia scrivania con le gambe aperte.

No. No, no, no. Non può succedere. Alcuni lupi riescono a fare sesso con le umane, no problem, ma non sentirebbero l’impulso di farne le loro compagne. Un’umana non aspirerebbe – non dovrebbe aspirare – ad avere addosso il marchio permanente del mio odore. Ma pare che questa pensi di sì. E questo rende impossibile poterla scopare. Perché non potrei marchiarla senza il rischio di ferite gravi o addirittura la morte.

Le sue labbra carnose si schiudono, come ad aspettare un bacio.

Faccio un passo avanti.

“Sono perdonata?” La sua voce calda mi va dritta all’uccello.

La inchiodo con uno sguardo di ghiaccio. “Vedremo.”

L’odore del suo nettare diventa più forte. La mia autorità le piace.

Me ne vado prima di tirarle su la gonna, strapparle le mutandine e affondare la lingua dentro di lei.

Non succederà. Non. Può. Succedere.

Mi allontano, il corpo rigido. Il mio lupo vuole essere liberato.

Forse devo uscire. Uso il cellulare per chiamare la mia segretaria. “Vanessa, cancella il mio appuntamento. Esco.”

***

Kylie

Benedetto vibratore, Batman. Jackson King ha una simpatia per me. Perché altrimenti comparirebbe così, tutto burbero e spaventevole, invitandomi nel suo ufficio?

Vuole mostrarmi il suo codice. È così che si chiama adesso?

Magari sta solo cercando di essere gentile, rimediando alla prima impressione. Magari vuole fare in modo che io – nuova dipendente al primo giorno di lavoro – mi senta a mio agio. Lanciarmi un osso. Quello grosso che tiene nei pantaloni. Eh.

Ma no, non sono quel tipo di ragazza. Non sono mai stata con un uomo. Non ho letto Consigli per fare carriera, ma sono piuttosto certa che andare a letto con il capo non sia una buona idea.

Anche se è Jackson King…

Dopo qualche minuto passato a sognare a occhi aperti, torno in me.

No, K! Rimprovero la mia libido. Non incasinare tutto. Ho appena ottenuto il lavoro dei miei sogni. Basta vita di crimini o in continua fuga. Basta nascondersi. La cosa più eccitante della mia vita adesso sarà scoprire cos’ha preparato Memé per pranzo.

E Jackson King è probabilmente uno a cui piace giocare. Forse è per questo che non ci sono notizie di eventuali fidanzate. Probabilmente va a letto con le sue dipendenti e le paga perché stiano zitte. Cazzone.

Se solo non avesse due occhi così belli. Pensavo fossero verdi. Oggi erano azzurri.

Digito sulla tastiera, fingendo di essere impegnata, in caso Stu mi interrompa. Anche se possiamo mandarci email o chattare tramite intranet, passa spesso per il mio ufficio. Non ho ancora ben capito perché sia stato così zelante con la mia assunzione. Delle brillanti raccomandazioni da parte di professori del college non mi sembrano poi tanta roba.

Apro Google per fare una ricerca su Stu, per vedere se riesco a scoprire di più, e mi ritrovo invece con il digitare il nome di Jackson King. Eccolo qui, serio come sempre, in una foto scattata per la rivista Wired. Fissa l’obbiettivo, i folti capelli spettinati e la mandibola serrata. La sua tipica espressione lasciatemi in pace.

Mi fa solo venire voglia di avvicinarmi di più.

Qualche ora ancora e poi potrò andare a vedere il suo codice. E voglio davvero sedermi e programmare insieme a lui, anche se significa fare degli straordinari non pagati. Magari tuffarsi in un progetto dissolverà l’impaccio che c’è tra noi. Nella vita reale sono sarcastica e distaccata, ma online sono Catgirl. Salto alti edifici con un balzo solo. Risolvo i problemi del mondo, un attacco informatico dopo l’altro. Quando papà era vivo, ci spostavamo un sacco tra uno dei suoi colpi e l’altro e non restavamo mai troppo nello stesso posto. Il computer era la mia casa. Non incontravo i miei amici al centro commerciale. Ci si vedeva online. E codificare… i numeri hanno senso e basta. Una sfida e allo stesso tempo un conforto. Un po’ come nascondersi alla luce del sole.

Per qualche motivo, penso che Jackson mi capirebbe.

Alle sei in punto salto dalla mia sedia. Il cuore mi batte nel petto con ritmo brioso mentre salgo le scale verso l’ottavo piano: l’area dirigenziale.

Quando sbuco fuori dalla rampa di scale – che mi riporta alla mente dei brutti ricordi, anche se non tanto brutti quanto quelli dell’ascensore – cammino rapidamente. Comportati come se facessi parte di questo posto, e la gente lo crederà. Quando si trattava di nascondersi, mio padre dava consigli migliori di ogni libro sul lavoro. In quanto ladro, sapeva il fatto suo.

Faccio parte di questo posto, dico a me stessa, mentre mi dirigo verso l’ufficio nell’angolo. Per la prima volta in vita mia, appartengo davvero a un posto.

L’assistente di King sta riponendo le sue cose. Si infila una giacca leggera e mette la borsetta a tracolla. È carina. E la sua camicetta è troppo scollata.

Benedetta scollatura, Robin.

Cerco di passarle oltre.

“Scusa? Posso aiutarti?”

Ruoto su me stessa, con un sorriso radioso in volto. “Certo. Sono qui per vedere il signor King.”

L’assistente scuote la testa, facendo rimbalzare i suoi perfetti ricci biondi. “No. Non ha nessun appuntamento.”

“Sì invece. Mi ha chiesto di dare un’occhiata a un codice.” Tendo la mano, facendo del mio meglio per mostrarmi amichevole, nonostante la sua gelida accoglienza. “Sono Kylie McDaniel, la nuova specialista infosec.”

La giovane donna scuote ancora la testa e ignora la mia mano. “No. Non è nella sua agenda. E al signor King non piace davvero essere disturbato. Posso cercare di fissarle un appuntamento?” La sua voce gronda dubbiosità.

La porta dietro di lei si apre. “Signorina McDaniel.”

Non avrei dovuto farlo. Avrei potuto aspettare che la donna si allontanasse e comunque sparisse. Ma qualcosa in me mi stuzzica e mi incita ad essere combattiva.

Occhi incollati sul volto dell’assistente, rispondo. “J.T.”

La ragazza sgrana gli occhi e il suo volto subito si irrigidisce in una smorfia.

Per fortuna la mia eccessiva familiarità non sembra dare ai nervi a Jackson. Non dà spiegazioni alla sua segretaria, ma del resto non ne ha bisogno: è la sua azienda. Fa un passo indietro, accompagnato da un gesto impaziente a indicare l’ufficio.

Solo su di lui l’autorità può apparire così sexy.

“Piacere di conoscerti,” dico all’assistente mentre avanzo.

Lei mi ignora. “Serve che resti, signore?”

No, grazie, non sono per le cose a tre.

“No.”

Quindi anche con gli altri risponde a monosillabi. Buono a sapersi.

“Ok, buona serata,” dice la segretaria, un accenno di disperazione nella voce.

Senza una parola di più, lui chiude la porta. La cosa non dovrebbe darmi soddisfazione, ma me ne dà. E ora sono da sola con Jackson King.

“Sei in ritardo,” ringhia lui.

Si è tolto la giacca e la cravatta. Il colletto è sbottonato. Le sue spalle larghe riempiono la camicia.

“Sono nei guai?”

Lui non risponde, ma si arrotola le maniche.

Benedetta sensualità, Batman.

“Se senti la mia mancanza, mi trovi due piani più sotto.”

King sbuffa e si infila dietro a una solida scrivania di legno abbinata a una sontuosa sedia in pelle. Una ritirata, ma per andare a sedersi in una posizione di potere. Davanti alla scrivania stanno altre due sedie più piccole. Lascio cadere la mia borsa su una delle due, ma non mi siedo. Non sono una scolaretta monella che è stata mandata nell’ufficio del preside.

Però, bella fantasia questa!

L’ufficio di King è impressionante. Due intere pareti finestrate mostrano una veduta mozzafiato delle pendici dei monti Catalina, che brillano di rosa e viola alla luce del tramonto.

“La tua segretaria è decisamente protettiva nei tuoi confronti. Te la scopi?” Ops, forse un po’ troppo audace. Ma se è un puttaniere che sbava su tutte le sue dipendenti, lo voglio sapere.

“Scusami?” Quella voce severa mi avvisa di darmi una calmata. Peccato che invece non faccia che eccitarmi ancora di più.

Scrollo le spalle. “Sembra gelosa.”

“Quindi la tua conclusione è che me la sia portata a letto?”

Mi sento avvampare in viso. Ancora una volta le prime parole che mi sono uscite dalla bocca sono state del tutto inappropriate. Cos’ha quest’uomo, che mi tira fuori tutti i pensieri più reconditi? Quando gli sono vicino, non mi posso nascondere.

Lui piega la testa di lato. “Non penso che sia lei quella gelosa. Cosa pensavi che avremmo fatto quassù, Kylie?”

Quando lo sento pronunciare il mio nome, ho un brivido.

“Pensavi che saremmo andati a letto insieme?”

“No.” La mia bugia non è molto convincente. Dovrei saper fare di meglio. Sono stata addestrata per mentire. “Per niente.”

Il suo sguardo scende sui miei seni, poi un sopracciglio si inarca, come a voler enfatizzare il discorso. I suoi occhi sono di nuovo azzurri – quasi argentati. Quelli di Memé cambiano così. A volte sono color cioccolato come i miei, altre volte appaiono dorati.

Abbasso lo sguardo. I miei fottuti capezzoli sono così dritti che sembrano voler bucare reggiseno e maglietta.

Cacchio .

Incrocio le braccia davanti al petto per nasconderli. “Senti, siamo entrambi adulti. Mi hai invitata quassù. Mostrami quello che volevi mostrarmi e ti dirò cosa ne penso.”

“Pensi di essere pronta?”

Sculetto fino alla sua scrivania e pianto le mani sulla superficie di legno, chinandomi in avanti. “King, è tutta la vita che sono pronta per te.”

Per un momento mi scruta. Ruota per guardarmi dritto in faccia. Sembra più grande, più imponente. I suoi occhi sono piantati nei miei, azzurro ghiaccio con un contorno nero.

Mi sento travolgere da un profumo muschioso e piccante, mascolino. Il battito accelera quando sento un sommesso brontolio. Proviene da King.

Mi raddrizzo. “Stai bene? Sembri…”

“Non funzionerà.”

“Cosa?” La parola mi va di traverso, come se mi avesse dato un pugno nello stomaco.

Chiude gli occhi, li riapre, riprendendo il controllo con visibile sforzo. Che sia perdita di pazienza o attrazione, non posso esserne certa. Mi sento intontita mentre lo vedo camminare verso la porta, presumibilmente per cacciarmi fuori.

“Senti, mi spiace.” Gli tocco il braccio. L’elettricità mi attraversa le punte delle dita. King inspira con forza. “Farò la brava. Voglio davvero vedere il tuo codice.”

Lui fa un passo indietro perché non arrivi a toccarlo ancora. “No. È stato un errore.”

“Dammi un’altra possibilità,” lo imploro. “Mi so comportare in modo professionale, lo giuro.”

Lui si gira e mi colpisce con tutta la forza del suo sguardo. I suoi occhi scendono sulla mia bocca, si posano sui miei seni, percorrono tutta la lunghezza delle mie gambe nude. Ho i brividi. “Può darsi. Ma io no.”

Rabbrividisco ancora. I miei sensi sono allerta, il pericolo che si mescola con l’eccitazione. C’è un predatore nella stanza e ha posato gli occhi su di me.

“Te ne devi andare, Kylie.”

Ahi. Neanche la sua voce sexy può ammorbidire il rifiuto. Indietreggio verso la porta, deglutendo. L’aria nell’ufficio è elettrica e mi fa venire la pelle d’oca.

È successo qualcosa tra di noi. Qualcosa che non riesco bene a inquadrare.

“Scusa.” Cerco altre parole a cui aggrapparmi. “Non volevo…”

“Non sono una persona con cui dovresti stare sola.”

“Cosa? Non capisco.”

“Non è una buona idea.” La testa china, il corpo imponente contornato dal rosso del tramonto, Jackson King sembra un eroe uscito da un fumetto, un essere appartenente a un altro mondo.

“King,” dico, e faccio un passo avanti.

Tira su la testa di scatto e mi inchioda con quei due occhi blu e ardenti. “Esci.”

La mia schiena va a sbattere contro la porta. Giro la maniglia, restia a distogliere lo sguardo dal grande e cattivo King. Muscoli tesi e occhi diffidenti, ogni centimetro di lui appare al contempo pericoloso e sexy. Ma non ho paura. Voglio sedurlo.

Sono pazza. Non so niente di seduzione. Questi sentimenti sono una follia. Ci riprovo, un’ultima volta. “Voglio lo stesso testare il tuo codice. Potresti mandarmi una mail. O qualcosa del genere.”

“No,” risponde. “Non posso.” Le sue labbra si contorcono in un deprimente sorriso. “Vattene. Adesso.” La sua voce si ammorbidisce. “Finché ne hai ancora la possibilità.”

Cosa intende dire? Non resto lì per scoprirlo. Chiudo la porta con un po’ troppa forza e la faccio sbattere.

“E resta fuori,” mormoro poi, le guance in fiamme.

Almeno la sua segretaria non è qui ad assistere alla mia umiliazione.

Mentre mi allontano, un verso angosciato esce dall’ufficio di King. Un suono inumano. Quasi un ululato.

***

Jackson

Mi tiro via i vestiti nel parcheggio e li butto nel bagagliaio. È rischioso. Ci sono ancora auto nello spiazzo, e non è neanche buio ancora. Ma io devo correre. La luna è in crescente e questo rende il mio lupo ancora più ansioso. È questo il problema. Non quella piccola umana inebriante e dalla battuta pronta che chiama ogni cosa con il suo nome.

Il mio petto è scosso da un ringhio quando penso al pericolo in cui si trova Kylie. Il mio lupo vuole proteggerla da ogni minaccia. Ma ovviamente l’unica minaccia nei suoi confronti sono io.

Garrett mi aveva avvisato che sarebbe potuto succedere. L’alfa di Tucson ha un branco compatto. I suoi lupi sono in salute, equilibrati. Io e lui abbiamo un rapporto sottile ma equilibrato: sono un lupo solitario al limitare del suo territorio. Garrett continua a tenersi in contatto con me. Non solo per affermare la sua dominanza – anche se non sarebbe poi un vero alfa se non lo facesse – ma per salvarmi dal mal di luna. I lupi, soprattutto i lupi grossi e dominanti, possono davvero impazzire se aspettano troppo prima di trovare una compagna. Se mai ne mostrassi i segni, Garrett ha spiegato molto chiaramente che mi ucciderà. Gli ho detto di portare i suoi migliori combattenti per essere sicuro di riuscire a terminare il lavoro.

Non posso preoccuparmi di una compagna. Diamine, neanche voglio un branco, non dopo che sono stato bandito da quello in cui sono nato. Sono un lupo solitario, o lo sarei se non avessi accettato Sam. Ma quello è stato diverso.

Sam ha bisogno di me e al mio lupo il ragazzo piace.

Al mio lupo piace moltissimo anche Kylie. Vuole che io la faccia mia, ma reclamare un’umana è pericoloso. So quali siano le conseguenze di lasciare libero sfogo alla mia natura bestiale. Va a finire che la gente si fa male.

Non posso permettere che succeda a Kylie.

Chiudo gli occhi e lascio che il calore mi consumi. Le cellule si separano. Si ridispongono. È indolore, ma richiede concentrazione e consuma energia. Mi metto a quattro zampe e corro dietro alle auto, fuori dal parcheggio ricoperto da pannelli solari, verso il terreno roccioso del deserto. Risalgo il pendio della montagna, correndo per arrivare dall’altra parte ed essere al riparo.

Il naso abbassato per seguire le tracce di un coniglio, lascio che sia il mio lupo a comandare. Basta fare il CEO. Basta azienda, basta codici. Basta Kylie con il suo odore, inebriante e proibito. L’espressione confusa e ferita sul suo volto quando le ho detto di uscire…

Corro a lungo per la montagna, facendo slalom tra alberi e cespugli, distendendo i muscoli. Il sole scende all’orizzonte e al suo posto sale la luna, luccicante e tonda, illuminando il pendio del monte.

Colgo un familiare odore di lupo un momento prima di vedere un lampo nero e un paio di occhi color ambra. Tendo le zampe posteriori e salto per bloccare il giovane maschio, facendolo cadere sul fianco e mordicchiandogli l’orecchio.

Sam è magrolino per essere un mutante, comunque piuttosto grande per la media di un lupo. Il mio giovane fratello di branco mugola e mi pizzica a sua volta, fino a che io ringhio e gli mostro i denti. Sam schiaccia la coda tra le gambe e piagnucola, offrendomi pancia e gola.

Gli lecco l’orecchio e lascio che il giovane salti in piedi. I giochi di dominio e sottomissione sono solo questo tra noi: giochi. È la cosa più vicina al divertimento che io mi conceda. Se non fosse per il ragazzo – il nostro branco di due – non interagirei con nessuno a livello personale. Né umano, né mutante. Ma Sam rifiuta di andarsene. Ricorda cosa voglia dire essere soli.

Sollevo il muso e mi allontano trotterellando, sapendo che Sam mi seguirà. Questa notte correremo e cacceremo, proprio come facevamo nelle montagne della California, dove ho trovato Sam mezzo ammattito e sul punto di morire di fame, la sua metà umana quasi perduta. Sembra sapere quello che io non so spiegare. Stanotte sono io quello che ha bisogno di essere salvato.

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