La bratva di Chicago - Copertina

La bratva di Chicago

Renee Rose

Capitolo due

Lucy

Mi appoggiai alla scrivania dopo che Ravil e il suo giovane soldato bratva ebbero lasciato l’ufficio e respirai profondamente.

Non era una respirazione yogica. Era più simile a un ansimare frenetico per non svenire.

Ma quante probabilità c’erano, cazzo?

Dopo tutta la preoccupazione che Gretchen, la mia migliore amica, lo dicesse a qualcuno del Black Light e che in qualche modo la voce arrivasse a padron R, e il mio compagno di quella notte era finito nel mio ufficio per puro caso.

Mandato dal boss della mafia italiana Paolo Tacone.

Gretchen lo avrebbe chiamato destino, quando glielo avessi detto. Credeva che l’Universo fosse in grado di offrire il bene più alto e tutta quella merda lì. Mi aveva anche detto che avevo l'obbligo di dire a Ravil della gravidanza.

Ma avevo un'ottima ragione per non farlo.

Dio, non sapevo se avevo giocato bene le mie carte. Minacciare un boss della mafia russa probabilmente non era stata la mossa più intelligente che avessi mai compiuto.

E l'avevo decisamente offeso.

Ma forse non aveva alcun interesse per il bambino. Per quanto ne sapevo, poteva essere sposato. O magari odiava i bambini. Oppure poteva essere d'accordo con me sul fatto che la sua professione non si prestasse alla paternità.

Un brivido mi attraversò la pelle ricordando che mi aveva tenuto la mano troppo a lungo. Che mi ero trasformata in una cerva sotto i fari, che il suo magnetismo maschile mi indeboliva le ginocchia anche quando sapevo che sarei dovuta scappare.

Non avrei proprio dovuto mentire. Non era nel mio stile e insultava la sua intelligenza. Non poteva proprio non sapere che era suo, ormai. Ricordai che era straordinariamente perspicace. Sapeva come avrei reagito a ogni sua provocazione ancor prima di me. Pianificava la scena, insieme al tempismo e all’azione perfetti in vista della mia resa.

Ricordai anche che aveva quasi soffocato un uomo per aver detto qualcosa di irrispettoso su di me.

Ravil era pericoloso. Letale, persino. Era nella bratva o mafia russa. L'avevo capito al Black Light dai tatuaggi che gli coprivano la pelle. Probabilmente era al vertice, considerando il diplomatico russo con cui si presentò al locale. Operava al di fuori di quelle stesse leggi che io passavo la mia giornata a eludere. Prendeva quello che voleva.

Non mi dispiaceva che un cliente apparisse letale. Ero esposta ai Tacone fin da quando ero diventata avvocato. Una parte di me trovava esilarante il potere e il pericolo che esercitavano. Che avevo trovato altrettanto elettrizzanti nel compagno di giochi del Black Light. Fino a quando la violenza non mi si era dispiegata davanti agli occhi. Era stato allora che avevo usato la mia parola di sicurezza per andarmene.

E sicuramente non era una caratteristica che mi piaceva vedere nel padre di mio figlio. Uno che ricoprisse appieno il ruolo di padre, e non solo la parte del donatore di sperma. Come donatore, Ravil Baranov era perfetto. Non conoscevo la sua storia medica, ma era fisicamente in forma e di bell'aspetto, con penetranti occhi azzurri, capelli biondi e un corpo fatto di muscoli solidi. Era anche molto intelligente.

Non era il tipo che volevo come modello per mio figlio.

Dannazione.

Ora attendevo sui carboni ardenti la sua reazione. Avrebbe cercato di inserirsi nella gravidanza o se ne sarebbe andato? Era lui al comando, e io ero in attesa che mi piombasse addosso qualcosa dal cielo. in attesa della caduta del cielo stesso.

E temevo che sarebbe piombata sul serio.

Ma non sapevo come. O quando.

Ravil

«È un maschio.» Dima, il migliore hacker del continente e della Russia, mi fece l'occhiolino da sopra al laptop.

Un maschio.

Stavo per avere un figlio.

Mi chinai sulla spalla di Dima mentre scorreva le cartelle cliniche di Lucy. Gli avevo ordinato di darmi tutte le informazioni che riusciva a trovare su di lei, a cominciare dalle cartelle cliniche.

«La data presunta del parto è il 6 novembre» disse ad alta voce. Il suo gemello, Nikolaj, incombeva sull'altra spalla.

«Quindi la data del concepimento è... aspetta...» I pollici di Nikolaj lavorarono sullo schermo dell’iPhone. «San Valentino.» Incrociò il mio sguardo. «Ma questo lo sapevi già.»

Inspirai e mi strofinai la mascella. Sì che lo sapevo. Il bambino era decisamente mio.

Stavo per avere un figlio.

Non avrei mai pensato che sarei diventato padre.

«Dovremo condividere papà con un nuovo fratellino» mi stuzzicò Nikolaj dandomi una pacca sulla spalla. Papa era una parola usata a volte per il ~pachan,~ o capo della bratva. Non lo avevo mai preteso, ma i miei uomini lo usavano scherzosamente.

Lo sguardo duro che gli lanciai gli fece immediatamente ritrarre la mano. Offrì un'alzata di spalle. «Congratulazioni. Hai intenzione di reclamarlo?»

Parte delle regole del codice dei ladri bratva imponeva di abbandonare tutta la famiglia: dissociarsi da madri, fratelli, sorelle, mogli.

Le amanti andavano bene perché non giuravamo sull’astensione dal sesso. Eravamo l'opposto dei monaci.

Ma tagliare i legami era un modo per proteggere l'organizzazione. Per mantenere gli interessi di tutti puliti e senza ostacoli. Proteggere gli innocenti.

Era uno dei motivi per cui non avevo mai inseguito Lucy dopo San Valentino, malgrado quella notte mi avesse completamente affascinato. Malgrado da allora non avessi più smesso di pensare a lei. Scoprire che era incinta cambiava tutto e niente.

Non che le regole della bratva non venissero infrante.

Soprattutto da chi ricopri posizioni più alte.

A quanto si diceva Igor, il pachan di Mosca, aveva una bellissima figlia dai capelli rossi. Non aveva sposato la madre: veniva mantenuta da anni come amante, ma essenzialmente aveva una famiglia. Ovviamente non si sapeva dove si trovassero. Doveva tenerle al sicuro. Una volta morto – e si diceva che il suo cancro si stesse diffondendo rapidamente – avrebbe potuto provare a lasciare loro i suoi grandissimi interessi finanziari.

In tal caso, quella bella testolina rossa probabilmente non sarebbe sopravvissuta al funerale. Le davo tre mesi dopo la morte del padre, al massimo.

E ora avrei avuto anche un bambino da proteggere.

Lo avrei rivendicato?

Lucy sembrava pensare che non ne avessi alcun diritto. Che fossi inadatto.

«Il bambino è mio» dissi cupamente.

Nessuno prende ciò che è mio.

«Inviami tutte le informazioni che riesci a trovare su Lucy Lawrence» ordinai a Dima. «Cosa fa. Dove mangia. Cosa compra. Chi chiama. Ogni cosa.»

Capitolo successivo
Valutato 4.4 su 5 sull'App Store
82.5K Ratings
Galatea logo

Libri illimitati, esperienze coinvolgenti.

Facebook GalateaInstagram GalateaTikTok Galatea