Il grosso lupo cattivo - Copertina

Il grosso lupo cattivo

Island Kari

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Chapter
15
Age Rating
18+

Summary

R.J. Macillister vive per rendere orgoglioso il padre alfa. È una forte combattente e una studentessa modello, pronta a guidare l'azienda tecnologica di famiglia e a diventare alfa. La debolezza non è mai un'opzione. Eppure si sente debole quando deve andare a un appuntamento al buio. Il bell'aspetto e gli occhi azzurri del ragazzo saranno la sua rovina? Età: 18+

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Capitolo 1

"ANCORA!"

Erano le sei del mattino e R.J. si trovava in piedi ormai da due ore nel freddo pungente, secondo il rigido regime del padre, che la teneva sotto controllo da quando aveva diciotto anni.

Alle quattro l'aveva mandata a fare una corsa di dieci miglia intorno al perimetro del branco, cinque miglia in forma di lupo-umano, poi sarebbe passata alla sua forma di lupo completa.

Dopo la corsa l'aspettavano dei giri nel lago artificiale privato.

In qualità di ex alfa del branco del Cuore Nero, Raymond Macallister credeva che la forza mentale e fisica, insieme a una grande leadership, rendessero un alfa eccezionale.

Mentre si trovava di fronte alla figlia ventiquattrenne, la guardava combattere contro i suoi quattro migliori guerrieri in attesa del momento in cui lei o tutti e quattro gli uomini non si sarebbero trovati al tappeto.

Raymond non aveva mai creduto troppo all'efficacia dei combattimenti simulati, nel caos della battaglia, infatti, i nemici non avrebbero permesso loro di liberarsi dopo appena un graffio, come invece accadeva, sovente, in allenamento.

"Concentrati, R.J. Che cazzo stai facendo?" Le urlò mentre lei si lasciava attaccare alle spalle.

Il lupo la bloccò a terra, affondandole gli artigli nel braccio come segno del suo totale dominio.

R.J. lanciò una rapida occhiata al padre scorgendo nei suoi occhi la stessa disapprovazione che soleva mostrarle da quando aveva sedici anni. Spingendo via il lupo, riprese l'allenamento, trasalendo quando mosse il braccio.

"Mi dispiace, Alfa", si scusò il lupo con voce rammaricata.

"Bisogna imparare, no?" rispose lei, inviandogli un sorriso rassicurante.

"Cos'è successo? Stai sorridendo al tuo aggressore? Pensi che un sorriso lo disarmi?" Urlò ancora una volta suo padre.

Il tono severo della sua voce fece vacillare nuovamente la sua fiducia. Lei trasalì visibilmente quando lui fece un passo verso di lei. "Papà, era... ero..." Iniziò lei.

"Torna al lavoro. Hai ancora trenta minuti e voglio tutti e quattro i lupi a terra".

"Sì, papà", rispose debolmente mentre si rimetteva in posizione.

R.J. non era riuscita a fare quello che le aveva ordinato il padre, così lui la stava criticando aspramente davanti ai suoi uomini.

Lei teneva la testa alta, gli occhi privi di emozioni e il corpo rigido mentre lui le rinfacciava tutto ciò che aveva sbagliato.

Nel corso degli anni, aveva imparato ad accettare le sue critiche e a non farsi influenzare dalle sue parole. Se avesse versato una lacrima, sarebbero piovuti verso di lei altri duri rimproveri.

Raymond sentiva che la sua unica figlia non sarebbe mai diventata un grande alfa come lui. Si considerava il migliore, ma gli altri lo vedevano solo come un tiranno.

Terminato il suo discorso, si avvicinò posizionandosi di fronte a lei. Il suo sguardo verde smeraldo incontrò gli occhi grigio-blu della figlia, che gli ricordavano quelli della sua cara madre.

"Stasera alle otto cenerai con il figlio di alfa Sean. Non mettermi in imbarazzo". Questo fu tutto ciò che disse prima di andarsene.

R.J. rimase in piedi, con lo sguardo fisso in lontananza. Gli unici suoni che si sentivano erano il battito frenetico del suo cuore e lo schiocco sinistro delle ossa dei lupi mentre questi tornavano alle proprie sembianze umane.

"Prendi il kit, Jesse", ordinò un uomo avvicinandosi al suo caro alfa. Con delicatezza, spostò la spallina del reggiseno sportivo per valutare il danno causato al braccio da suo fratello Mark.

"Sta guarendo rapidamente, ma devo comunque pulirlo e coprirlo", disse dolcemente.

Jesse si avvicinò con il kit di pronto soccorso e la esaminò per vedere se il suo corpo avesse subito altri danni.

I quattro uomini la circondarono e la protessero mentre si occupavano delle sue ferite. Lei non disse nulla e anche loro tacquero.

Erano cresciuti con R.J.; avevano frequentato la stessa scuola, le stesse feste di compleanno e cenato l'uno a casa dell'altro.

In qualità di lupi purosangue, il loro addestramento era rigoroso, avrebbero dovuto cercare sempre di ottenere il meglio, ma per lei era diverso. Lei doveva essere la migliore. I figli dell'alfa dovevano dimostrarsi superiori a tutti.

"Charlie ha già scelto i tuoi abiti da lavoro. Io sarò qui fuori ad aspettarti. Jesse e Mark ti accompagneranno a cena", spiegò Ryan mentre finiva di fissare la garza.

Silenzio.

Frankie, il più silenzioso di tutti, la chiamò. Lei si girò rigidamente verso di lui e i suoi occhi si addolcirono quando lui le rivolse un piccolo sorriso.

"Va tutto bene. Stai andando alla grande. Tutti noi ti rispettiamo come nostro alfa. Forse lui non lo vede, ma Cuore Nero ti ama così come sei", le disse tirandola a sé delicatamente.

Le diede un bacio sulla tempia e le strofinò la schiena, desiderando che si rilassasse prima di prepararsi per il lavoro. Ognuno dei due uomini le baciò la guancia prima di riaccompagnarla a casa.

Quando uscirono dagli alberi per entrare nel suo grande giardino, lei li ringraziò dolcemente prima di entrare nell'unico posto in cui si sentiva al sicuro e dove poteva essere se stessa.

La sua migliore amica, Charlotte, era in cucina ad aspettarla con un caldo sorriso sul volto. Una tazza di caffè caldo e la colazione erano sul bancone.

Guardando la sua amica, che era più che altro una sorella, mentre consumava velocemente la colazione, Charlotte disse: "Appuntamento, eh? Non ne hai mai avuto uno da quando avevi quanto, sedici anni?"

R.J. lanciò una rapida occhiata alla sua amica bionda e tenne la testa bassa. "Immagino che tu non conti gli ultimi otto figli di alfa nell'ultimo anno", disse con un piccolo sorriso sulle labbra.

Charlotte sembrò compiacersi del piccolo sforzo che faceva per mostrare la sua natura un tempo giocosa. "Psh. Quelle erano esercitazioni; forse questo figlio sarà quello che aspettavi", disse con un sorriso luminoso.

R.J. scrollò le spalle. Non si stava facendo troppe illusioni e nemmeno la sua lupa, Kara. Se uno di questi appuntamenti combinati si fosse rivelato quello giusto, non sarebbe più stata la leader dominante di Cuore Nero.

Suo padre e i suoi amici erano tutti uguali. Una luna non era alla loro altezza; sarebbe stata al di sotto di loro e non avrebbe avuto voce in capitolo su qualsiasi problema del branco.

"Sì, forse lo è", rispose R.J. con un sorriso. "Andiamo, è ora di lavorare. Ry sarà fuori ad aspettarti".

Vestita con una gonna a matita nera che terminava sopra il ginocchio, un top in chiffon dorato, una giacca a portafoglio e scarpe nere e oro, R.J. si mise davanti allo specchio a tutta altezza, esercitandosi a sorridere.

"Un sorriso può cambiare la giornata di chiunque, anche la tua". Le parole che sua madre le aveva recitato prima di ogni riunione di gruppo le erano rimaste impresse per tutti questi anni.

"Quando cambierà la mia giornata?" Si chiese prima di scendere al piano di sotto.

Charlotte la aspettava vicino alla porta. Quando notò R.J., uscì dalla porta e si diresse verso l'auto in attesa.

Si sedettero sul sedile posteriore con la radio accesa, ascoltando i brani che trasmetteva. R.J. si godette il panorama mentre attraversavano il quartiere sulla strada principale che portava all'autostrada.

Dato che Ryan conosceva le scorciatoie per la città, non furono sorpresi quando raggiunsero il parcheggio della Robinson Tech così in fretta.

Oltre a casa sua, il lavoro era un rifugio temporaneo.

L'azienda era stata proprietà del nonno materno. Aveva iniziato producendo e distribuendo componenti per computer di grandi marche, poi era passata ai componenti per console di videogiochi.

Suo zio Sebastian si era dedicato alla produzione di videogiochi. Era stato lui a insegnarle tutto quello che c'era da sapere del mestiere.

Sia il padre che il figlio avevano pianificato il proprio futuro mettendo insieme un team per la pubblicità, la progettazione, il marketing e i test.

Robinson Tech si era fatta un nome negli anni e ora era conosciuta come l'azienda di riferimento per far conoscere al grande pubblico il proprio nome.

Sarebbero stati in grado di realizzare qualunque progetto, che si trattasse di un nuovo gioco per dispositivi mobili o console.

Suo padre non aveva mai creduto che un giorno l'azienda sarebbe passata a R.J.. Era solito dire: "La raderà al suolo".

Tre anni dopo, quando suo nonno cedette le redini dell'azienda di sua spontanea volontà, lei gli dimostrò che si sbagliava.

Sebastian dava una mano di tanto in tanto quando si trovava negli Stati Uniti, ma preferiva rimanere in Giappone, dove avveniva davvero la magia.

Avrebbe voluto seguirlo su sua richiesta, ma le circostanze lo avevano impedito e lei era rimasta a gestire tutto.

"Buongiorno, R.J. Oggi ci aspetta un'ottima giornata", disse Tiffany, la sua assistente, entrando nella colorata hall per fare il punto della situazione.

"Due giochi dei tuoi clienti sono stati completati e sono pronti per essere testati. Li ho già informati. Due gruppi di discussione sono stati riuniti e saranno qui alle nove.

Alle undici e mezza avrai quattro incontri con nuovi clienti, una console e tre applicazioni".

Sui monitor c'erano pubblicità di nuovi giochi e immagini tratte dai vari portfolio dei designer. Le pareti erano arancioni, blu, rosse e viola. Immagini incorniciate di giochi di successo decoravano gli interni.

Nella lobby c'erano moderni divani bianchi con cuscini alla moda e tutti all'interno di quei locali così curati e stravaganti avevano il proprio stile di abbigliamento.

Non c'era infatti un dress code rigido. Il comfort all'interno dell'azienda era l'obiettivo principale, dato che ogni reparto lavorava spesso a lungo e tacchi e abiti potevano essere una seccatura.

Charlotte salutò l'amica mentre la sua assistente la conduceva al suo reparto: il design.

Se non fosse stato per il grande occhio e la leadership di R.J., gli sviluppatori si sarebbero persi. Nel suo ufficio all'ultimo piano, si sedette e fissò la finestra, pensando all'appuntamento di quel giorno.

"Pensi che questo sarà il nostro compagno?" Chiese alla sua lupa.

Kara sbuffò alla domanda e trovò nuovamente la calma in ciò che la sua umana le stava mostrando. "Non saprei proprio dirlo", rispose Kara.

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