La saga di Wolf Ranch - Copertina

La saga di Wolf Ranch

Renee Rose

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Chapter
15
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18+

Summary

Regola del branco #1: Non rivelarsi mai a un essere umano. Ho infranto quella regola il giorno in cui ho incontrato quella dottoressa bellissima.

Sarò anche un campione di rodeo, ma mi è bastato guardarla per un istante per perdere la concentrazione. Il toro mi ha puntato e incornato e ora questa dolce ragazza non mi molla un attimo.

Quando sono guarito in poche ore, si è resa subito conto che c'era qualcosa di strano. Il mio alfa mi ha detto di tenerla d'occhio.

Nessun problema. La terrò d'occhio. Da molto vicino.

Autrici: Renee Rose & Vanessa Vale

Bridger Media

Wilrose Dream Ventures, LLC

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174 Chapters

Capitolo Uno

Libro 1: Brutale

BOYD

I miei pensieri erano rivolti a una scopata.

La maggior parte dei ragazzi aveva la testa concentrata sulla cavalcata imminente, sugli otto secondi che dovevano affrontare tenendo il culo in groppa a un toro infuriato. Io? Io non pensavo con quella testa.

Ero carico e avevo voglia di sfogare quell’energia in eccesso dentro una figa calda e stretta. E c’erano un sacco di opzioni in giro per l’arena.

«Ehi, campione. Non vedo l’ora di vederti cavalcare,» tubò una delle groupie mentre mi superava ancheggiando.

«Grazie, stupenda.» Tutto ciò che avrei dovuto fare sarebbe stato rivolgere un occhiolino a Sherry o Cindy... qualunque fosse il suo nome e avrei potuto farmi una cavalcata con lei. Con quella minigonna di jeans che non era altro – sia ringraziato Gesù Cristo – che un cerotto in denim avvolto attorno alla sua vita e una canottierina bianca che le nascondeva a malapena le tette sode, sapevo che era disponibile. Quella cavalcata sarebbe potuta durare più di otto secondi – sarei potuto andare avanti tutta la notte – ma una volta sceso, come con un toro, non indugiavo. Le signore sapevano come funzionava. Arrivavo all’orgasmo – ne concedevo uno o due anche a loro dal momento che ero un gentiluomo – e loro potevano vantarsi del fatto che si fossero fatte il campione del rodeo. Tutti se ne andavano soddisfatti.

Soddisfatti, decisamente. Felici? Non più così tanto. Certo, Sherry/Cindy era stupenda, ma una scopata con la bellezza di turno non mi appagava più così tanto.

O meglio, non appagava più il mio lupo. Una sveltina non era ciò che desideravamo. Magari era l’inizio del delirio da luna piena a parlare, ma la cosa mi stava dando sui nervi. Il mio cazzo si era fatto... selettivo. Era ciò che succedeva ai mutanti pronti per l’accoppiamento. Il loro lupo interiore era alla ricerca di una compagna vera e nessun’altra femmina sarebbe andata bene. Quello era un bel problema per un ragazzo come me che pensava solamente a scopare... tutto il tempo.

Il rumore della folla sugli spalti era attutito al livello inferiore dell’arena. L’odore di popcorn e birra rovesciata non riusciva a coprire il puzzo degli animali. Il pavimento di cemento era coperto da ciuffi sparsi di fieno che mi rimanevano attaccati agli stivali robusti, ma non ero diretto verso le rampe. Non ancora. Essendo in corso il torneo di steer roping, avevo tempo di fare una visita al mio amico, Abe, prima del mio turno di bull riding. Svoltai in uno stretto corridoio e mi intrufolai nell’infermeria.

«Coglione, ti sei fatto male alla mano prima ancora di entrare nel ring? Cosa stavi facendo, una sega?» domandai, togliendomi il cappello mentre varcavo la soglia.

Dopodichè mi immobilizzai. Mi raggelai. Porca puttana.

Il mio lupo drizzò le orecchie. Annusò l’aria.

Già, Abe era seduto su un tavolo visite con i suoi jeans impolverati e una camicia coi bottoni a scatto, ma io non stavo guardando lui. Diamine, avrebbe potuto indossare un completo da danza hawaiana e non me ne sarei accorto. Fu la donna che gli stava tenendo la mano, sistemandogli il dito in una specie di tutore di metallo, che mi misi a fissare.

Minuta, formosa e con il culo più seducente che avessi mai visto, avrebbe potuto farla fare sotto... o far venire un uomo nei pantaloni come un quindicenne. Il mio lupo si alzò e si lisciò il pelo. Lei mi guardò con occhi spalancati dietro gli occhiali. Cazzo, non avevo avuto idea di avere un debole per gli occhiali. Le donne che mi facevo di solito erano alte e sinuose, con tette sode che mi strabordavano dalle mani. Magari era stato quello il mio problema, era da lì che era nata la mia selettività. Nessuna di loro erano state lei.

Ciò, però, non aveva senso. Non ebbi bisogno di inspirare per cogliere il suo odore. In quella piccola stanza, il dolce aroma di pesche mature mi travolse come un toro impazzito.

Delizioso. Ma non era l’odore di una lupa.

Lei era umana. Un’umana bellissima e formosa.

Il mio lupo praticamente si mise ad ululare nel vederla. Lunghi capelli che le ricadevano sulla schiena come una cascata scura. Aveva un viso rotondo con la pelle pallida come il latte. Le sue labbra piene sarebbero state incredibili attorno al mio cazzo. E quelle curve. Oh cazzo, sì. Tette che mi avrebbero riempito le mani alla perfezione, fianchi larghi che sarebbero stati stupendi da afferrare mentre me la scopavo da dietro. E quel culo? Già, non potevo non notare quelle meravigliose curve dal momento che era girata verso Abe, ma mi stava scrutando da sopra una spalla. Quel culo avrebbe ammortizzato le mie spinte mentre me la scopavo con forza. Sarebbe stato anche maledettamente stupendo con le impronte rosee della mia mano sopra.

Il cazzo mi premette contro i jeans dalla voglia di arrivare a lei. Di entrarle dentro.

«Che diavolo, Boyd?» borbottò Abe. «Mi sono rotto il cazzo di – scusi, signora – dito aiutando Burt ad aggangiare il rimorchio.» Sollevò lo sguardo sulla donna, mortificato per aver pronunciato un’imprecazione. E signora? Ma che diavolo? Si stava comportando come un timido scolaretto alla sua prima cotta.

Oh cazzo, no. Abe non le avrebbe messo le mani addosso. Lui era umano e un tipo a posto, ma in ogni caso, proprio no, cazzo.

«La dottoressa, qui, me lo sta fasciando così che possa gareggiare.»

Dottoressa? Era una dottoressa? Forse mi ero aspettato un tizio con un camice bianco e dei pantaloni stirati color cachi, non un bel pezzo di donna come lei. Un bel pezzo di donna intelligente. Probabilmente era più furba lei di quanto non lo sarei mai stato io. Tutto ciò che sapevo era che era mia.

Lei avvolse con destrezza un qualche bendaggio bianco attorno al dito nel tutore di Abe e a quello accanto, assicurandoli assieme, poi tagliò la striscia. Aveva avuto fortuna a non ferirsi la mano che usava per tenere la corda, così da poter gareggiare.

«Cosa farà più tardi? Pensa che potrei offrirle una tazza di caffè in segno di ringraziamento?» Con Abe seduto sul tavolo per le visite, si trovavano alla stessa altezza. Tutto ciò che avrebbe dovuto fare era sporgersi e sarebbe stato in grado di baciarla. Lei lo scrutò ed io provai l’istinto di ringhiare per poi staccargli la testa a morsi.

«Non sarò in grado di concentrarmi senza conoscere la sua risposta.»

«Concentrati meno su di me e più su quel toro che devi cavalcare.»

Abe sogghignò, quel sorriso un’arma risaputamente letale per le mutandine delle donne.

Io mi lanciai in avanti, mi tolsi il cappello e allungai una mano. «Ciao, mi chiamo Boyd.»

Lei mi lanciò un’occhiata, poi tornò al proprio lavoro. Le sue mani guantate avvolsero un’ultima fascia attorno alle dita di Abe. «Ciao, Boyd. Scusami – ho le mani occupate.»

Azzurri. I suoi occhi erano azzurri dietro quegli occhiali da secchiona che dicevano “scopami”.

«Oh, ah. Giusto.» Lasciai ricadere la mano e mi accontentai invece di rivolgerle il mio sorriso sciogli-mutande. Quello che di solito mi garantiva il numero di cellulare di una donna senza doverglielo nemmeno chiedere. Mi avvicinai un po’, abbastanza da far accigliare Abe.

Mia, amico. Fatti da parte, cazzo.

«Sono la Dottoressa Ames – Audrey. Scusami.» Aveva bisogno che indietreggiassi perchè l’avevo quasi premuta contro il tavolo col mio corpo. Senza toccarla, ma incombendole decisamente addosso.

«Audrey Ames,» ripetei io. «Immagino fossi sempre seduta in prima fila a scuola.»

«Già, proprio così.» Non mi rivolse una seconda occhiata. Non arrossì nè sbatté le palpebre. Non spinse i seni in fuori, così che potessi scorgere che cosa avesse da offrire. Diamine, non mi degnò praticamente nemmeno di uno sguardo mentre si spostava fino al bancone dove annotò qualcosa in una cartella.

«La dottoressa lavora in un ospedale, ma si occupa anche di questo evento in caso qualcuno si faccia male,» spiegò Abe, sollevando la propria mano ferita.

Mi accigliai. «Sai anche che numero di scarpe porta e che cosa abbia mangiato a colazione?»

Audrey si voltò di scatto e mi rivolse un’occhiata che avrebbe fatto ritrarre le palle a un uomo più debole. In ogni caso, era ben lungi dall’espressione scopami subito a cui ero abituato. «Sono proprio qui, eh, io.»

Io le feci l’occhiolino e la scrutai da capo a piedi. «Eccome.»

Dopo aver stretto leggermente le labbra, lei si tolse i guanti e li gettò nel cestino.

Per la miseria. Era la prima volta che una femmina mi interessava davvero da anni – forse da sempre – e a malapena mi notava. Non gliene fregava un cazzo dell’enorme fibbia alla mia cintura che indicava che fossi un campione del rodeo. Non gliene fregava un cazzo che l’uccello che vi premeva dritto dietro fosse duro come una roccia solo per lei.

Com’era anche solo possibile?

Ignorai l’occhiataccia che mi rivolse Abe.

«Perchè non ti ho mai vista da queste parti?» Ci riprovai.

«Io?» Si guardò attorno, sorpresa. Come se fossi entrato lì dentro per flirtare con Abe o qualcosa del genere.

«Come ha detto Abe, lavoro al Community General a Cooper Valley, e a meno che tu non stessi per partorire, non ci saremmo mai incontrati. Il vostro solito dottore per il rodeo ha avuto un contrattempo, per cui hanno chiamato il nostro ospedale pregandoli di fornire un rimpiazzo per stasera. La paga era decente e ho dei debiti scolastici da pagare, per cui ho pensato, perchè no?» Fece spallucce. «Ho sempre voluto assistere a un rodeo.»

Ovviamente, io non mi facevo mai male o, se capitava, non abbastanza da aver mai bisogno di andare in ospedale dal momento che i mutanti guarivano tanto rapidamente.

«Scusi, dolcezza,» disse Abe, sollevando gli occhi al cielo come se avesse potuto intravedere gli spalti sopra di noi. «Ho rovinato i suoi piani da spettatrice.»

Lei gli rivolse un piccolo sorriso. A lui. Perchè cazzo non ne offriva uno a me?

«Verrò su non appena avremo finito qui e ti guarderò cavalcare.»

Abe gonfiò il petto e a me venne voglia di spezzargli le dita rimaste. Ancora meglio, una gamba, così che non potesse gareggiare. Se voleva guardare qualcuno cavalcare un toro, quel qualcuno sarei stato io.

«Tu vivi a Cooper Valley.» Riuscivo a malapena a credere a quella coincidenza. «Mi prendi in giro.»

Lei finalmente mi rivolse la sua completa attenzione, voltandosi e appoggiando quel bellissimo culo contro l’armadietto per osservarmi curiosa. «Sì. Mi sono trasferita qui poco tempo fa. Perchè?»

Io mi puntai un dito sul petto. «Io vengo da Cooper Valley - Wolf Ranch. Lo conosci?»

Lei scosse la testa, i capelli scuri che le scivolavano sulle spalle. «No, sono piuttosto nuova da queste parti e faccio turni lunghissimi a lavoro. Conosco molto bene l’interno dell’ospedale.» Mi rivolse un sorriso caustico.

Ecco. Un fottuto sorriso. Ero come un mendicante che si accontentava delle briciole, con lei.

Mi avvicinai di soppiatto a lei. «Potrei prendermi un giorno o due di ferie e farti fare un giro. In effetti, non mi dispiacerebbe affatto.»

Abe si schiarì la gola, facendo voltare Audrey verso di lui. «Tu sei a posto,» gli disse lei. «Non romperti nient’altro là fuori. Non so come facciate voi ragazzi.»

Lui balzò giù dal tavolo, prese il proprio cappello e se lo mise in testa. Non accennò minimamente ad andarsene. Diamine, no. Stava cercando di provarci.

Quello stronzo ebbe il coraggio di sogghignare, per poi darmi una pacca sulla schiena con la mano buona, molto più forte del necessario. «Be’, faremmo meglio a raggiungere le rampe. È quasi ora delle corse sui tori. Mi guarderà, dottoressa?»

Io gli rivolsi un’occhiata che urlava levati di mezzo, lei è mia. Potrei anche aver ringhiato un po’.

Ci fissammo brevemente in cagnesco e lui alla fine cedette. Sospirò, picchiettandosi la tesa del cappello. «Signora.»

Capii che Abe era un ragazzo furbo perchè finalmente se ne andò ed io fui lasciato solo con la femmina più sexy di tutto il Montana.

«A proposito di quel tour,» dissi io, avvicinndomi di un passo e rivolgendole il mio sorriso disinvolto. Mi infilai i pollici nelle tasche anteriori dei jeans.

Non ero il tipo di ragazzo che credeva nei segni o nel destino, ma dopo la reazione del mio lupo alla sua presenza, scoprire che una creatura tanto meravigliosa vivesse nella mia città mi sembrava significativo. Dopo tutto il vagabondare per l’intero fottuto paese a cavalcare tori infuriati, lei era stata proprio lì. Era destino che quel rodeo si tenesse nella mia città natale e che lei vi stesse lavorando.

«Oh, no,» mi liquidò subito, voltandosi per ripulire dopo le cure prestate ad Abe. «Assisterò al rodeo e guarderò te e Abe cavalcare, ma devo rimettermi subito al lavoro quando torno a casa. Ti ringrazio, però.»

Scartato. Era solamente un tour. Certo, significava che volevo farle vedere la città... e il mio cazzo, ma prima le avrei mostrato un po’ il paesaggio. Magari aveva bisogno di vedermi in azione. Prima in sella a un toro, poi magari a letto. Chi non voleva scoparsi il campione? Non è che avessi nulla di cui preoccuparmi. Nessun umano poteva battermi in sella. Specialmente non quando volevo vincere.

Adesso volevo decisamente vincere. Mi rimisi il cappello in testa.

La dottoressa Audrey voleva assistere a qualche cavalcata? Le avrei fatto vedere esattamente come si faceva.

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